IL
FESTIVAL DI CANNES
Neanche
le rughe gloriose di Sean Penn salvano il deludente "Black Flies" del
francese Jean-Stéphane Sauvaire
di Teresa Marchesi - Huffington Post
CANNES
- Non bastano le rughe gloriose di Sean Penn a salvare “Black
Flies” dal girone infernale dei brutti film, sperando che tra gli aspiranti
alla Palma d’oro di Cannes 76 non arrivi ancora di peggio. Film indipendente
americano a firma francese (Jean-Stéphane Sauvaire), “Black Flies” dovrebbe,
nelle intenzioni, documentare con crudo realismo i patimenti dei
paramedici newyorchesi addetti alle zone diseredate di Brooklyn.
Ma
c’è più compiacimento gratuito che cinema-verità nel campionario di sangue,
viscere, violenza, fetore, lerciume e disperazione sbandierato da Sauvaire, che
in più riesuma i più frusti cliché del mainstream hollywoodiano: il
principiante idealista tutto coscienza (Tye Sheridan) e il veterano indurito
con l’anima (Penn, che come Sheridan figura anche tra
i produttori esecutivi). Su quelle ambulanze notturne viaggiava anche il
Nicolas Cage di Martin Scorsese in “Al di là della vita”, che però aveva alle
spalle la sceneggiatura di Paul Shrader e un bel romanzo di Joe Connelly,
“Bringing Out the Dead”.
Anche
qui si adatta un romanzo (“I corpi neri” di Shannon Burke, 2008), e il neo-assunto Ollie Cross -che nel tempo libero studia
medicina- fa squadra con il roccioso Gene Rudkovsky, cioè Penn. Si fa le ossa
tra la criminalità degli slums, i tossici terminali da crack, le homeless in
collasso etilico e i mariti violenti che hanno picchiato a sangue la moglie.
Tra i soccorsi molti non sono attori professionisti e si vede, chissà chi si è
occupato del casting.
Le
‘mosche nere’ del titolo infestano i cadaveri in putrefazione, ma la retorica
dei simbolismi si spinge fino a far indossare a Ollie un giubbotto dalle ali
dorate che evoca San Michele Arcangelo, patrono degli ammalati, a uso
degli spettatori corti di comprendonio. “Si fa questo mestiere per aiutare la
gente, ma a volte si finisce per fare tutto il contrario”, dirà il ragazzo
verso la fine del film. A precipitare tragicamente gli eventi sarà infatti un
caso di coscienza estremo: si deve o no evitare a un neonato di madre in
sospetta overdose il tragico destino che lo attende?
Non
spetta certo a noi sindacare sulle scelte artistiche e politiche di Sean Penn,
che si è sempre distinto per il suo generoso impegno politico, ma ultimamente
sembrano per lo meno avventate. Per citare un’altra battuta-chiave del film,
“se costeggi le tenebre possono inghiottirti”. Le tenebre hanno già inghiottito
Michael Pitt, l’infermiere incattivito in cui è arduo riconoscere l’angelico
biondino di “Dreamers”, di Bernardo Bertolucci. Hollywood ha sfornato centinaia
di film sulla deriva, i dubbi e i tormenti dei poliziotti delle trincee
metropolitane: a fare la differenza qui è solo l’uniforme, e un’ambizione da
realismo ‘indy’ che annaspa nelle convenzioni.
***
(Teresa
Marchesi, critica cinematografica e regista, è tra le giornaliste italiane
più brillanti, le cui prime esperienze di cronista sono cominciate alla
Repubblica di Scalfari. Ha poi lavorato alla Rai come inviata speciale del Tg3
- Ora collabora a importanti giornali e riviste. Il suo Blog www.huffingtonpost.it)