GIACOMO
MAMELI NE RACCONTA LA STORIA
"Pedrito"
un emigrante sardo finito nei peggiori lager di Caracas
di Sergio Rizzo - L'Espresso
ROMA
- In fondo, a pagina 193, c’è un post scriptum che
comincia così: «Ritengo un dovere morale, in un libro che racconta le violenze
atroci di ieri in Venezuela, ricordare anche le violenze, altrettanto atroci,
di oggi». Giacomo Mameli, l’autore di “Pedrito” (sottotitolo: “Lamette a
Caracas, fiori a Orgosolo”) si riferisce alla sconcertante vicenda di Alberto
Trentini. È l’operatore umanitario della Ong Humanity
& Inclusion sequestrato ormai quasi un anno fa
dalla polizia venezuelana e sbattuto in cella senza che siano state formulate
accuse nei suoi confronti. Nel carcere, che si chiama El Rodeo I, le condizioni
sono descritte come disumane. «Varie Ong e le stesse Nazioni Unite», scrive sul
Domani Lucia Antista, «hanno documentato cosa accade all’interno tra privazione
del cibo, detenuti costretti a fare i bisogni nello stesso spazio in cui
dormono e mangiano, acqua razionata e restrizioni alle visite familiari». La
madre di Trentini non è riuscita a scambiare con il figlio che poche parole
soltanto dopo quasi sette mesi.
L’ambasciatore
italiano ha invece avuto un colloquio con il cooperante (e con un altro
cittadino italiano rinchiuso nel carcere venezuelano, l’imprenditore torinese
Mario Burlò) a fine settembre, quando erano già trascorsi ben 312 giorni
dall’arresto. Trecentododici giorni a testimoniare l’inerzia delle nostre
autorità, smosse evidentemente più dalle pressioni dell’opinione pubblica che
da una situazione oggettivamente inaccettabile da ogni punto di vista. La
situazione di un cittadino italiano incarcerato da quasi un anno che non può
difendersi dalle accuse perché le accuse non sono formalizzate.
Così,
per quanto enormi possano risultare le differenze fra il 2025 e gli anni
Cinquanta del secolo scorso anche in Venezuela, la storia di Alberto Trentini
ha perfino tratti comuni con quella di Pietro «Pedrito» Demontis. Una storia
vera di lavoro, impegno, sofferenze, violenze, privazioni, e ritorno. Che
Giacomo Mameli ripercorre nel suo libro con la fedeltà del cronista e il ritmo
incalzante del narratore. La storia di vita di tanti italiani scappati verso
l’ignoto pur di uscire dall’abisso della povertà.
Classe
1931, Pedrito è partito da Perdasdefogu, nel cuore della Sardegna, per
ritrovarsi a Caracas a fabbricare scarpe per l’impresetta
di un siciliano. Sono gli anni dell’emigrazione italiana di massa, soprattutto
dal profondo Sud e dalle isole, a cercare fortuna, a fare soldi. Brasile,
Argentina, Uruguay, Venezuela. Le nuove terre promesse. Racconta Pedrito:
«Comunque andassero le cose, il Venezuela luccicava di denari, produceva
petrolio come nessun altro Paese al mondo. Sentivo dire: Viva el petròleo, los
bolìvares, abajo la democracia»
Già,
la democrazia. La democrazia è solo un intralcio, in una giungla dove non c’è
altra legge che fare soldi, e farli in fretta. Per quello è assai meglio la
dittatura, e in Venezuela c’è la dittatura. Con cui Pedrito fa ben presto la
conoscenza. Un giorno si fa convincere da un amico «che mi era diventato
fratello», Vicente, che però tutti lo chiamavano più Zapatero che Vicente, ad
accompagnarlo a comprare sigarette di contrabbando. Ma sulla via del ritorno
incappano nel coprifuoco, li arrestano e inizia il calvario. Vanno «da una
galera all’altra, tutte occupate, grandi e piccole strapiene di arrestati».
Finché arrivano nell’unico carcere che li accetta. «Acqua non ce n’era nel
cortile diventato lager. Né da bere, né da lavarsi. Una sola latrina per centinaia
di dannati. Era l’inferno di un Paese con le dittature a lustri o ad anni
alterni che duravano da tanto. Soltanto i nomi cambiavano ma sempre dittature
erano».
Ma
«inferno» forse non è il termine adatto. Nel carcere è peggio dell’inferno. I
racconti delle atrocità, dice Pedrito, «sono difficili da immaginare». Il
meglio che possa capitare è di essere torturati. Un giorno si sparge la notizia
che un professore universitario, evidentemente un detenuto politico, è morto
«La Seguridad gli ha tagliato la giugulare con una
lametta». Perché ci sono anche i detenuti politici, quelli di “Accion democratica” di Romolo Betancourt, spazzata via
dalla brutale dittatura di Perez Jimenez, che ha inaugurato le stagioni
dell’orrore.
Il
giovane calzolaio sardo è precipitato nell’incubo senza alcuna colpa. Rischia
di andare incontro al plotone d’esecuzione come chi si ribella al dittatore, ma
ecco il colpo di fortuna. C’è Miguel, incaricato di distribuire la brodaglia
chiamata cena nel cortile del lager. «Si avvicina e mi dice sottovoce: appena
mi vedi al portone, alzerò la mano… vi faccio scappare, non fiatate con
nessuno». Ecco il cenno, il cancello si apre, e Pedrito con i suoi compagni e
il cuore in gola è fuori dall’incubo.
Il
ricordo di quei giorni nel lager di Caracas non lo abbandonerà mai più. Dal
Venezuela alla Sardegna, e di nuovo al Venezuela, dove la maledizione dei
regimi totalitari, delle violenze, delle sopraffazioni e della negazione delle
libertà collettive e individuali non ha fine. Per questo, leggendo il libro di
Mameli, non ti abbandona il pensiero dei convitati di pietra come Alberto
Trentini, rinchiuso in un carcere da un anno alla mercé degli sgherri di
Maduro. Un dittatore al comando di un Paese che a dispetto del petrolio resta
affogato in quello che in un’altra epoca si definiva il Terzo
mondo. Dice tutto, in un colloquio con Massimo, il figlio di Pedrito,
che chiude il libro, l’analisi di Luz Mely Reyes, una
giornalista venezuelana che lavora negli Stati Uniti: «La nuova élite politica
ed economica, legata al governo, gode di tutti i benefici ma la gente dei
quartieri poveri può appena mandare i figli a scuola. Gli indicatori mostrano
una regressione dell’economia simile a quella degli anni ’40. Secondo gli
esperti, il Paese ha sofferto una caduta che non ha precedenti in alcun altro
Paese latino americano e addirittura nel mondo, se si
escludono i Paesi in guerra».
***
(Sergio
Rizzo www.lespresso.it
- La sua carriera giornalistica è iniziata nelle redazioni di Milano
Finanza, Il Mondo e Il Giornale.
Dopo essere approdato al Corriere
della Sera, Rizzo si è dedicato ad inchieste sui malaffari italiani,
diventando una delle firme del quotidiano milanese. È coautore con Gian
Antonio Stella del libro-inchiesta sul mondo politico
italiano La
casta che, con oltre 1 200 000 copie e ben 22 edizioni, è
stato uno dei volumi di maggior successo del 2007 e ha aperto
un vasto dibattito sulla qualità della classe dirigente nazionale e sul suo
rapporto con i cittadini-elettori. Il 14 giugno 2017 è stato
annunciato il suo passaggio dal Corriere della Sera a La
Repubblica, in qualità di vicedirettore. L'11 novembre 2021 lascia La
Repubblica, dichiarando di essere stato costretto ad andare in pensione).