DUE EVENTI DA NON PERDERE

 

Un’estate con il grande cinema di Ettore Scola. All'isola d'Ischia e a Trevico  

di Paolo Speranza

 

“Lo avevamo tanto amato”, recita il titolo della tre-giorni dedicata al cinema di Ettore Scola a Ischia, dal 30 luglio all’1 agosto a Lacco Ameno, su iniziativa dell’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli e del Circolo “Sadoul”. E dal 7 al 9 agosto a Trevico, paese natale del regista di C’eravamo tanto amati e Una giornata particolare, ecco la rassegna “Scola Prima”, a cura dell’associazione “Irpinia Mia” e con la direzione artistica di Silvia Scola e Fabio Ferzetti. Due eventi in Campania per ricordare (con proiezioni di film, eventi, dibattiti, mostre) un Maestro del cinema e la sua profonda ispirazione etica e sociale dalla parte degli ultimi e per un mondo migliore, sublimata soprattutto nel suo film più popolare, C’eravamo tanto amati, come ricorda in questo articolo l’autore della recente monografia sul film, edita da Gremese anche in Francia.

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Prima ancora di uscire nelle sale italiane, il 21 dicembre 1974, C’eravamo tanto amati si era già aggiudicato due premi: il Globo d’oro per il miglior attore (Vittorio Gassman) e il miglior attore non protagonista (Stefano Satta Flores), attribuito dall’Associazione della Stampa Estera.

 

Caso raro per un film italiano, tutti gli attori – ad eccezione di Nino Manfredi, che per molti critici e per gli stessi sceneggiatori interpreta il personaggio principale del film – ottennero riconoscimenti importanti: nel 1975 furono premiati Stefania Sandrelli (Grolle d’oro a Saint-Vincent) e come migliori attori non protagonisti, ai Nastri d’Argento, Aldo Fabrizi e Giovanna Ralli. Nella stessa edizione, il prestigioso premio del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani (SNGCI) andò agli sceneggiatori: Age e Scarpelli e lo stesso Scola, coautore del plot, che nello stesso anno si aggiudicò alle Grolle d’oro il premio per la miglior regia.

 

Intanto il film, dopo aver trionfato in Italia al botteghino con un incasso di oltre 3 miliardi e mezzo di lire, conquistava il pubblico di tutto il mondo e i consensi unanimi della critica internazionale, dagli Stati Uniti alla Francia, dalla Germana alla Gran Bretagna, dalla Spagna all’America Latina.

 

Il primo riconoscimento internazionale arrivò a pochi mesi dall’uscita, nel luglio del 1975, con il Gran Premio per il miglior film al Festival di Mosca, al quale concorsero sia il prestigio di cui godeva il cinema italiano d’autore nell’Europa orientale che l’omaggio degli autori a Vittorio De Sica (e a La dolce vita di Fellini).

 

Per i critici cinematografici dell’Urss, sia pure con qualche forzatura, il film di Scola si connotava come un degno e brillante erede del Neorealismo: <<È un film che ci riporta alle migliori tradizioni del Neorealismo. Quel Neorealismo che, nato sull’onda della lotta antifascista, raccolse le speranze popolari e fu poi strozzato da chi era al potere. Ma l’albero del Neorealismo non è morto. Sono così apparse opere formidabili firmate da Rosi, Damiani, Pontecorvo, Petri ed altri. Ed ora C’eravamo tanto amati risulta nuovamente come un ramo dello stesso albero>>, sentenziò la “Pravda”, l’organo ufficiale del PCUS, che mostrò di apprezzare anche <<le interpretazioni ricche di sfumature psicologiche>> da parte dell’ottimo cast di attori.

 

Sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizzarono le principali riviste letterarie, come la “Literaturnaia Rossia” (<<C’è, infatti, chi dice che il Neorealismo è morto, che è dimenticato. Questo film ci avverte, invece, che è vivo, presente>>), la “Literaturnaia Gazeta” – esaltando la trama e il montaggio del film di Scola, che unisce mirabilmente dramma e commedia – e il diffuso settimanale “Za Rubejom”, che titola Il Neorealismo in una fase nuova.

 

Al pari dei capolavori del Neorealismo, peraltro, a C’eravamo tanto amati toccò di rivivere un’esperienza analoga nel rapporto con la critica cinematografica, ricevendo un’accoglienza generalmente positiva e spesso calorosa all’estero e le poche, ma tenaci, riserve esclusivamente in Italia. Con una differenza sostanziale, però, rispetto ai tempi di Roma città aperta e Ladri di biciclette: mentre l’ostilità verso i capolavori del Neorealismo muoveva dalla stampa di destra e dagli ambienti conservatori (come i notabili di Nocera Inferiore nel film di Scola), a C’eravamo tanto amati le critiche negative arrivarono da qualche testata dell’estrema sinistra. Come a dire, dagli omologhi di Nicola Palumbo. Con l’eccezione significativa di Camillo Marino, al quale il personaggio del professore cinefilo meridionale era dichiaratamente ispirato, che da subito lodò il film su “CinemaSud” e nell’aprile del ’75, alla XVI edizione del “Laceno d’Oro”, premiò Stefano Satta Flores come miglior attore giovane.

 

La consacrazione definitiva come Autore, per Scola, arrivò dalla Francia, che nel 1977 gli attribuì il prestigioso premio César per il miglior film straniero, e da allora “adottò” il regista italiano fino alla sua scomparsa. A Parigi C’eravamo tanto amati rimase in sala per tre anni consecutivi, un record, e dalla Francia arrivò anche il Gran Premio al Festival del film umoristico di Chamrousse.

 

Con il senso della prospettiva storico-artistica, anche in Italia il film di Scola non ha mai perso il suo appeal presso il grande pubblico. C’eravamo tanto amati resta un film unico, irripetibile (per il mutato livello produttivo del cinema italiano, per lo stato di grazia che allora accomunava i suoi interpreti, per il clima politico e culturale profondamente diverso da oggi) e comunque attuale, vivo, in grado di suscitare oggi come nel ’74 emozioni, pensieri, suggestioni di natura personale e collettiva.

 

Il suo valore artistico, prima che dalla critica e dagli studiosi, è stato riconosciuto e sancito dal pubblico di tutto il mondo. Quella storia e i suoi personaggi li abbiamo amati anche noi e restano indelebili nella memoria, perché fanno parte della nostra storia di italiani e di esseri umani che non si stancano di sognare, amare, soffrire.

 

<<Il futuro è passato e non ce ne siamo neanche accorti>>, <<Sceglieremo di essere onesti o felici?>>, <<Credevamo di cambiare il mondo e invece il mondo ha cambiato noi>>, <<Era il migliore di tutti noi>>, <<Se semo stufati d’esse boni e generosi!>>: in queste perle di una sceneggiatura perfetta, da studiare nelle scuole di cinema (e nelle scuole in genere), prendono vita tutti i dilemmi, le recriminazioni, le utopie del Novecento ma anche, forse in misura persino più accentuata, di questo tempo (pensiamo soprattutto ai popoli dei Paesi più poveri) e di domani. E la consapevolezza di una sconfitta collettiva non esclude la possibilità e la spinta verso un nuovo inizio. Per ricominciare ad amarci e a lottare per un mondo più solidale e più giusto.

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(Paolo Speranza storico, saggista e docente)