Il Sud lirico e realista di Sandro Abruzzese. Uno sguardo coraggioso e lucido 

di Paolo Speranza

 

“Chiunque scriva di questo Paese complesso, nel narrare con onestà credo abbia l’occasione, e forse l’onere, di contribuire a decolonizzare l’attuale immaginario meridiano. Comincerei con la retorica della magia e della bellezza. Personalmente, mi insospettisco quando si indulge nella narrazione suggestiva del Mezzogiorno. Da meridionale che vive da tempo nel nord del Paese, provo una vena di rammarico e fastidio di fronte a tale retorica. Dietro vi riconosco assoluzioni, alibi e puerili meccanismi di rivalsa. Altrettanta diffidenza, poi, avverto in certi tentativi neo-identitari”.

 

Eccola, la visione del Sud nello sguardo coraggioso e lucido di Sandro Abruzzese, docente e scrittore nato a Grottaminarda e da tempo trasferitosi, come tanti della sua generazione, nel Nord, a Ferrara, dove ha trovato lavoro e messo su famiglia. Una visione realistica, estranea alla (vuota) retorica dominante, quella che oggi oscilla tra i poli opposti dell’arretratezza senza rimedio e del richiamo esotico del borgo antico.

 

Abruzzese ne scriveva – nell’articolo La battaglia per il Sud e per l’Italia – già nel 2016, a soli 38 anni, e all’indomani del clamoroso successo di critica (ma anche di audience) di Mezzogiorno padano, edito da manifestolibri con la prefazione di Vito Teti, che ha rivelato uno degli scrittori italiani più brillanti e incisivi di oggi: l’emozionante scoperta di un libro e di un autore che finalmente tornavano a interrogarsi sulla questione meridionale con senso della realtà e sincera passione civile.

 

Il problema del Sud, soprattutto, non veniva posto in antitesi a un Nord (avanzato, luminoso, europeo) ma concorreva a definire in maniera complementare la crisi profonda, ben al di là della superficie mediatica, di un’Italia che ha perso prospettive e valori ed è da tempo immersa nel guado: “No, non è davvero Hollywood, e non le somiglia neanche lontanamente, quella Padania che da oltre un decennio accoglie (ma sarebbe più corretto dire: ospita) gli attori della nuova e inarrestabile ondata migratoria dalle regioni del Sud Italia: un movimento carsico, inedito nelle sue dinamiche, che ancora oggi i più preferiscono rimuovere, pochi si sforzano di analizzare, quasi nessuno ha raccontato davvero.

 

Per questo è importante, ricco com’è di qualità letteraria e di coraggio civile, l’esordio narrativo di Sandro Abruzzese, che con Mezzogiorno padano ha dato vita ad una sorta di “Spoon River meridiana” dei nostri giorni, intrecciando con uno stile già coinvolgente e maturo storie personali di donne e uomini del Sud, sopravvissuti e resistenti, marginali o migranti. Storie semplici nella loro struttura eppure emblematiche, percorse da un vivo realismo e da una partecipe e a tratti vibrante caratterizzazione dei personaggi”.

 

A 37 anni, il giovane docente irpino, blogger e fondatore del progetto “Racconti viandanti” si affermò subito come una delle voci più originali della nuova narrativa italiana, in grado di cimentarsi con una polifonia di temi, generi e toni, che nel giro di pochi anni, e dopo altri tre libri, ha raggiunto una progressiva conquista di uno stile sempre più personale ed interiorizzato, senza rinunciare (al contrario, esternandoli quasi con orgogliosa passione) ai richiami e agli apporti linguistici e morali di una solida teoria di buone letture e visioni d’autore, inserendo nel testo narrativo felici e calzanti citazioni poetiche, cinematografiche, di cultura fotografica e di arti visive.

 

Dopo soli dieci anni di infaticabile attività e continua ricerca Sandro Abruzzese può già permettersi di ripresentarsi al lettore con una densa silloge dei suoi scritti, pubblicati su libri, riviste, blog, quotidiani, e ancora una volta con uno di quei titoli suggestivi e calzanti che contribuiscono a rivelare il vero scrittore: Meridionali si diventa, edito da Rogas nella collana “engageante” diretta da Antonio Tricomi.

 

Provare a sintetizzare la pluralità di temi, generi, interventi raccolti in questo libro è impresa vana, giacché Abruzzese sfugge (anche volutamente) ad ogni definizione o gabbia critica che non sia quella, tout court, di scrittore. E, con questa pubblicazione, anche di critico letterario, come rivelano i capitoli centrali: “Saggismi: letteratura e società”, dove spazia da Levi a Scotellaro ai recenti Alex Langer e Leogrande, senza riununciare a riflessioni, più propriamente politiche, su Berlinguer, Simone Weil o Sciascia in Sicilia; e “Compagni di viaggio”, itinerario vulcanico e pieno di sorprese nel (vasto) mondo delle letture e degli interessi culturali dell’autore.

 

Senza tralasciare, in apertura, l’interessante “dialogo immaginario” con Gesualdo Bufalino, è sul capitolo finale, “Il Paese in emergenza”, che occorre concentrarsi con particolare attenzione: è qui che Abruzzese, con l’elegante e stringata logica illuministico-meridiana dei suoi amati Bufalino e Sciascia, fa tabula rasa di pregiudizi, stereotipi e letture pseudo-sociologiche che inquinano il dibattito (?) politico e mediatico attuale, strumentale e vuoto, soprattutto in quei piccoli gioielli di pensiero che sono La scuola come alibi (due paginette che valgono più di tanti faldoni di circolari ministeriali) e L’epoca della frammentazione, dove Abruzzese pone l’accento sul dato culturale più preoccupante nell’Italia del nuovo millennio: “la scomparsa di un discorso realmente nazionale-popolare, dunque fondato su una visione chiara e complessiva, seppure profondamente articolata, del Paese”.

 

Per tutti i lettori, non solo dell’Irpinia e del Sud, il capitolo più lirico e coinvolgente è quello iniziale, Paesi tuoi, titolo-omaggio a Cesare Pavese, dove ancora una volta l’autore elabora connessioni insospettate e profonde tra l’anima del Sud e l’ancora vasta area montana e rurale del Nord industrializzato. Occorre leggerlo e meditarlo tutto, questo capitolo, soffermandosi in particolare su Città natale, realistico e lirico insieme, sulla coraggiosa polemica civile di La doppia verità del terremoto in Irpinia, e sul prezioso saggio Il mestiere di vivere di Pasquale Stiso, pubblicato come postfazione alla monografia Il poeta ritrovato, a firma di chi scrive (Mephite, 2018). L’immediata attrazione politico-letteraria per la figura del poeta-sindaco di Andretta accomuna Abruzzese al ricordo di un compianto scrittore e reporter irpino, Enrico Fierro, con il quale condivide la visione critica (benchè non ancora mainstream) del terremoto dell’80 e della malaricostruzione che ne seguì: “La chiamata in correo per la classe dirigente meridionale – scrive Abruzzese citando Leghisti e sudisti (Laterza, 1993) di Isaia Sales – qui non è affatto riduttiva, o un rimpallo vago tra Roma e Milano, a maggior ragione perché al palo, in questa faccenda, c’è rimasta la Campania, il Sud, non Roma né Milano”.

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(Paolo Speranza storico, saggista e docente)