UN
TALENTO NATURALE
Aurelio
Fierro e il cinema. Dai titoli 'canori' degli anni Cinquanta al film di
Nichetti
di Paolo
Speranza
NAPOLI - Che
grande attore sarebbe stato Aurelio Fierro! Non un protagonista assoluto del
cinema italiano, ma senz’altro un caratterista di qualità e di grande presa sul
pubblico, anche internazionale.
Un “tipo” alla
Giacomo Furia, per intenderci, simpatico e popolare, forse addirittura più
eclettico rispetto alla celebre “spalla” di Totò, Peppino e Sofia Loren, capace
com’era di adattarsi a diversi registri interpretativi.
E’ stato così anche per le sue canzoni: a
renderlo famoso in tutto il mondo sono stati i suoi motivi più orecchiabili e
scanzonati, da Scapricciatiello a Guaglione,
da Lazzarella, che interpreta anche
nell’omonimo film con il suo autore Modugno, a Ma tu vulivi
‘a pizza, in coppia con Giorgio Gaber al Festival della canzone napoletana
del 1966. Ma l’artista – di cui ricorre quest’anno il ventennale della
scomparsa - sapeva modulare da par suo anche i toni sentimentali e drammatici,
come nelle canzoni che gli valsero il primo premio al Festival di Napoli nel
1958 (I vurrìa) e del 1961 (Tu sì ‘a malincunia).
Questa versatilità
era il frutto di un talento naturale alimentato da una rigorosa formazione,
iniziata nella natìa Montella, in provincia di Avellino, e consolidatasi a
Napoli, dove il giovane studente irpino si era trasferito durante la guerra per
frequentare Ingegneria meccanica. Fino a che, con il trionfo nella Piedigrotta
del ’54 con Scapricciatiello, per Fierro si
aprirono definitivamente le porte dello spettacolo.
“Un ingegnere
in meno, un artista in più”, titolava nel n.13 di “Cinemasud”
Camillo Marino in un appassionato profilo di colui che definì ’“amico e
fratello nelle aule del Liceo Scientifico “P.Mancini” di Avellino, facendosi le ossa alla scuola
del nobile e severo professor Visconti”, nonchè
graditissimo ospite nell’edizione del 1960 del “Laceno d’Oro”, in coppia con
Domenico Modugno. Un successo meritato, secondo Marino, per i sacrifici che
l’amico Aurelio, come tanti irpini della sua generazione, aveva sostenuto in
gioventù.
Nel mondo del
cinema, la consacrazione del Fierro attore è avvenuta molto (troppo) più tardi:
nel 1996, a 73 anni, grazie ad un colpo di genio di Maurizio Nichetti, che
coraggiosamente scelse quell’anziano cantante ormai dimenticato e un pò demodé per il ruolo del padre espansivo e
affettuoso dell’irreprensibile maestrina Iaia Forte in Luna e l’altra.
Un film
delicato e ancora attuale, che vinse due Nastri d’Argento e piacque ai critici
cinematografici più avveduti: “Le carte vincenti del film – scrisse su “La
Stampa” Lietta Tornabuoni – sono parecchie: Iaia Forte, molto brava nella sua
doppia parte; Aurelio Fierro, che si rivede con gran piacere, spiritoso,
simpatico, che canta magari con poca voce ma con intonazione sicura, che fa una
bellissima morte sorridendo circondato da gaie prostitute”. E l’altrettanto
autorevole Tullio Kezich, sul “Corriere della sera”, concordava: “la riproposta
di Fierro è una trovata tale da aprire al cantante veterano una nuova carriera
da caratterista”.
Quattro anni
dopo Nino D’Angelo lo volle in Aitanic,
parodia non banale del celebre kolossal hollywoodiano, e altri registi
gli avrebbero affidato ruoli interessanti se le sue condizioni di salute non
fossero peggiorate, fino alla scomparsa nel 2005.
Grazie a
Nichetti, tuttavia, Aurelio Fierro si è ritagliato un prezioso cameo nel cinema
italiano d’autore, evitando così di legare la sua immagine di attore
esclusivamente alla stagione dei cosiddetti “musicarelli”, genere di grande
successo commerciale tra gli anni ’50 e ’60 grazie alle trasposizioni sul
grande schermo delle canzoni più popolari del momento.
Del cinema
canoro italiano l’artista di Montella diventò ben presto uno dei mattatori (con
ruoli di primo piano in titoli di cassetta come Ricordati di Napoli, Lazzarella, Sorrisi e canzoni, Serenatela sciuè sciuè, Quando gli angeli
piangono, L’ultima canzone, Caporale di giornata, Quel tesoro di papà, Le donne
ci tengono assai, Destinazione Sanremo, tutti girati fra il 1957 e il 1959)
anche se, paradossalmente, non compare nel cast del film tratto dal suo motivo
più celebre, Guaglione, sceneggiato tra gli altri da Titina De Filippo,
che ne fu anche una delle interpreti accanto alla femme fatale per
eccellenza Dorian Gray.
Secondo il
regista Gianni Amelio, cultore della storia del cinema italiano, Guaglione “ha
un intreccio che stringe il cuore e scorre liscio come un bicchier d’acqua. Fu
girato in bianco e nero ma in Totalscope, lo stesso
formato della Dolce vita: segno che aveva qualche ambizione commerciale
in più”.
Anche in quei
film senza pretese, amplificatori di una visione oleografica e consolatoria
della realtà napoletana (fino alla rottura culturale operata da Francesco Rosi
con Le mani sulla città), Aurelio Fierro riuscì a mettere in mostra un
potenziale recitativo non comune.
“Non era certo
il personaggio dilaniato da oscure spinte rinnovatrici – scrisse sul quotidiano
“l’Unità”, all’indomani della sua scomparsa, un critico rigoroso come Leoncarlo Settimelli – eppure
lui, dovesse essere sullo schermo un fornaio o un prete, non se la cavava male
e riusciva a dare una verità ai personaggi più incredibili”.
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(Paolo
Speranza storico, saggista e docente)