AL
TEATRO MERCADANTE
Andrea
Camilleri e la Tarantella censurata. Il commissario Montalbano è nato a Napoli
di Paolo
Speranza
Il
commissario Montalbano?
È nato (idealmente) a Napoli. Precisamente al Teatro Mercadante, il 6 dicembre
del 1962, quando Andrea Camilleri fu vittima di uno dei più grotteschi episodi
di censura: alla “prima” (e ultima…) di Tarantella con un piede solo,
di cui lo scrittore siciliano era regista, alla fine del primo atto la
magistratura fece sospendere la commedia e incriminò Camilleri e l’autore Luigi
Lunari (direttore del centro studi del Piccolo Teatro di Milano) per
“spettacolo osceno” e “vilipendio alle forze di polizia”, reati che all’epoca
potevano costare fino a tre anni di carcere. I dettagli li apprendiamo da una
cronaca del quotidiano “La Stampa” di Torino: “Terminato il primo tempo
dello spettacolo, esplodevano i dissensi. In un palco vi erano anche due alti
magistrati, il primo presidente della Corte d’Appello Domenico Zeuli e il
procuratore della Repubblica Enrico Gatta. Persino il presidente Zeuli esprimeva
vigorosamente il suo dissenso. I commenti pro o contro assumevano un tono
acceso, senza però che si giungesse ad incidenti tali da giustificare la
chiusura per motivi d’ordine pubblico. Ciò nonostante
nell’intervallo un funzionario di Pubblica Sicurezza si è recato dal delegato
alla presidenza del Teatro Stabile, ordinandogli di far sospendere lo
spettacolo”, che invece il questore di Napoli aveva autorizzato. Perché
allora tanto sdegno?
La risposta è
nei reportage dell’epoca: “Nel lavoro appaiono di continuo dei poliziotti
(falsi poliziotti, come si saprà alla fine della commedia) che, trascurando
ogni loro dovere e consumando lautissime imbandigioni, concorrono alle fortune
economiche dell’azienda, clandestina ma non troppo, impiantata fra via e
albergo”.
In altre
parole, i poliziotti “solidarizzano” con le prostitute del quartiere e chiudono
un occhio, anzi entrambi, sui loschi traffici dei “protettori” e della piccola
malavita. Neppure erano mancate battute sui nostalgici dei Savoia, sullo stesso
(ex) re Umberto, sull’ex sindaco monarchico di Napoli Lauro.
Immaginiamo se
fosse andato in scena il secondo atto, dove un prete cinico e venale, don
Fiorenzo, va a riscuotere dalla maitresse un congruo obolo per
la parrocchia, e due sposini giunti in viaggio di nozze da Ariano Irpino, che
in cambio della somma – a quei tempi ragguardevole – di 500mila lire accettano
una “proposta indecente” da un presunto uomo d’affari (“Mica che sia un
porco, eh? Un buongustaio, un collezionista”, lo presenta il viscido
intermediario Cannuccia). Accade trent’anni prima del celebre film con Robert
Redford e Demi Moore, senonché lo sposo, interpretato da Carlo Croccolo, “non
riscuote però il prezzo dell’indegno mercato in quanto il dongiovanni, a cose
fatte, se la squaglia”, puntualizza “Il Ponte” che, al pari delle
altre testate, giura sulla veridicità dell’episodio e prende le difese degli
autori contro la censura, peraltro appena abolita, dell’aprile del ‘62 dopo le
polemiche oscurantiste contro La dolce vita di Fellini e L’Arialda di
Testori.
Ma le origini del
personaggio di Montalbano? Le rivela il libro, in uscita per il centenario
della nascita di Camilleri, dell’editrice napoletana La Valle del Tempo, che
ricostruisce con documenti finora inediti tutta la vicenda, e il dibattito che
ne seguì, nel contesto della battaglia culturale nei primi anni Sessanta contro
la censura e per la libertà di espressione: Camilleri, Lunari e la
Tarantella incriminata.
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(Paolo
Speranza storico, saggista e docente)