UN SIMBOLO PER IL PAESE
Alfa Romeo, i 70 anni della Giulietta. La berlina che
fece innamorare gli Italiani
di Manuel Magarini - Virgilio
TORINO - 20 aprile 1955, Salone dell’Auto di Torino.
Sotto i riflettori, Alfa Romeo presenta la Giulietta Berlina.
Nessuno lo sa ancora, ma quell’auto cambierà il corso degli eventi. Ha un nome
che suona dolce, quasi intimo, e un’anima intrisa di grinta e bellezza. Segno
dei tempi, sogno su quattro ruote che, anche a settant’anni di distanza, fa
ancora emozionare chi ama i motori.
Manifesto di un Paese
La Giulietta fu un simbolo vero, il manifesto di
un’Italia che voleva correre verso il futuro. Uscita in pieno “boom economico”,
rappresentava l’oggetto del desiderio di una classe media in ascesa. Aveva il
fascino delle Alfa da corsa, ma potevi trovarla parcheggiata sotto casa, pronta
a farti sentire un po’ più veloce, un po’ più elegante, un po’ più… vivo.
Prima della Giulietta, Alfa era sinonimo di officine
d’élite. Poi, arrivò lei. E fu svolta. Il Portello si organizzò, si
industrializzò, divenne una macchina operante su larga scala. Le catene di
montaggio aumentavano i regimi, le vetture uscivano a ritmo continuo. Era
l’inizio di una nuova era per Alfa Romeo, e per lo Stivale intero.
A voler essere precisi, la Berlina arrivò un anno dopo la
Sprint, la versione coupé. Una strategia inusuale per l’epoca, ma
vincente: la Sprint era bellissima, firmata da Bertone, e conquistò subito il
pubblico. Talmente tanto che Alfa volle accelerare lo sviluppo della berlina,
inizialmente prevista con calma. Ed è proprio con questa Giulietta “per
famiglie” che nacque un concetto inedito: la compatta sportiva,
accessibile e tecnologicamente avanzata.
Sotto il cofano batteva un motore bialbero in
alluminio da 1.290 cm³, capace di toccare i 140 all’ora. Numeri che oggi fanno
sorridere, ma nel 1955 erano un traguardo mirabile. Soprattutto se pensiamo che
era una berlina, anziché un bolide da pista. Eppure, come diceva uno slogan del
tempo, “la guida anche la mamma”. Bastava salire a bordo per capire che
qualcosa stava cambiando: la qualità costruttiva, il piacere di guida, la cura
dei dettagli… tutto sapeva di Alfa, senza, però, l’arroganza del lusso
inarrivabile.
Oltre i confini
Alla Giulietta va riconosciuto anche il merito di aver superato
i confini. È entrata nel cinema, nella pubblicità, persino nel cuore dei
poeti. Il suo nome – secondo una delle versioni più romantiche – sarebbe nato
da una battuta: “Siete otto Romeo, e neanche una Giulietta?”. Detto,
fatto. E da lì una famiglia intera: Berlina, Sprint, Spider, Speciale, SZ… e
persino una station wagon chiamata Promiscua.
Nel 1960, l’esemplare numero 100.001 fu celebrato da Giulietta
Masina, musa di Fellini. Una scena simbolica, quasi cinematografica, che
suggellava il legame tra questa macchina e l’anima dell’Italia
dell’epoca. In totale, tra il 1954 e il 1965, furono prodotte quasi
180.000 Giulietta, di cui oltre 130.000 in veste Berlina. Numeri importanti, ma
ciò che resta è lo stile. Quella linea sobria e, al contempo, riconoscibile,
quel muso ispirato alla Sprint, quel “family feeling” ante litteram che
ancora oggi fa scuola, nonostante l’ultimo capitolo risalga al 2020 e sia già
stato escluso un suo ritorno.
La Giulietta è stata molto più di una macchina. È stata
un ponte tra l’Italia che faticava a ripartire e quella che cominciava a
sognare in grande. Una
compagna di viaggio per uomini d’affari, mamme eleganti, giovani in cerca di
libertà. Una storia che, settant’anni dopo, non ha perso un grammo del suo
fascino.
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(Manuel
Magarini - Virgilio.it)