Francesco indicò
all'Onu come salvare il mondo
di Stefano Vaccara
- La Voce di New York
NEW YORK - In un’epoca sempre più
ostile al multilateralismo, Papa Francesco è stato una delle poche voci morali
capaci di difendere con convinzione la missione delle Nazioni Unite. Ora che la
notizia della sua morte si diffonde in tutto il mondo, c’è un momento che più
di ogni altro ne racchiude la visione: il suo storico discorso al Palazzo di
Vetro, il 25 settembre 2015.
Non fu una semplice visita papale. Fu
una dichiarazione di fede, non solo in Dio, ma anche nell’umanità. Di fronte a
una platea di presidenti, diplomatici e tecnocrati, Papa Francesco fece
qualcosa di straordinario: lodò un’istituzione umana, imperfetta per
definizione, come un argine che aveva contribuito a evitare l’annientamento del
mondo.
“Certamente rimangono molti gravi
problemi da risolvere”, disse, “ma è chiaro che, senza tutti quegli interventi
a livello internazionale, l’umanità non sarebbe stata in grado di sopravvivere
all’uso incontrollato delle proprie possibilità”.
All’epoca, Donald Trump era ancora
solo un candidato alla Casa Bianca e già attaccava la cooperazione globale.
Oggi, con un’amministrazione Trump che ha nuovamente preso le distanze
dall’ONU, è ancora più significativo ricordare che dieci anni fa il leader
della Chiesa cattolica lodava le Nazioni Unite come fondamentali per la
sopravvivenza dell’umanità.
Papa Francesco conosceva bene il
potere e i suoi limiti. A differenza di autocrati e populisti che alimentano
paura e divisione, Francesco credeva nella condivisione del potere, nel suo
contenimento attraverso il diritto e le istituzioni internazionali. Il suo
sostegno all’ONU non era idealismo ingenuo, ma convinzione profonda: “La
distribuzione effettiva del potere… e la creazione di un sistema giuridico per
regolare i conflitti di interesse sono un modo concreto per limitarlo”, disse
all’Assemblea Generale.
In un’epoca in cui il nazionalismo
torna a crescere, le sue parole suonano profetiche: «Nessun individuo o gruppo
umano può considerarsi assoluto.» E ancora: “Ogni danno arrecato all’ambiente è
un danno all’umanità”.
Il suo discorso non fu solo un
appello alla giustizia ambientale — anche se Laudato Sì, la sua enciclica epocale, era
appena stata pubblicata. Fu una chiamata a difendere gli esclusi: i migranti, i
poveri, le vittime di tratta, gli scartati. Una denuncia del sistema globale
che lascia indietro troppi.
Eppure Bergoglio
offrì speranza. Celebrò i successi dell’ONU — dal peacekeeping alla
codificazione dei diritti umani. Onorò la memoria di Dag Hammarskjöld e di
tutti coloro che avevano dato la vita sotto la bandiera dell’ONU. Appoggiò con
forza l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e gli Accordi di Parigi sul
clima.
Mentre Trump straccia trattati, taglia i fondi alle
agenzie ONU e ridicolizza la diplomazia, il discorso di Francesco
del 2015 suona come un rimprovero morale e una bussola etica.
Non ignorava i difetti dell’ONU.
“Riforma e adattamento ai tempi sono sempre necessari”, ammise. Ma vedeva
nell’ONU un mezzo per “servire l’umanità” — un atto di fede nell’essere umano,
nella sua capacità di elevarsi al di sopra dell’egoismo.
Oggi, con le Nazioni Unite sotto
attacco e il mondo di nuovo sull’orlo di un conflitto tra grandi potenze, le
parole di Papa Francesco risuonano con urgenza. La sua voce ci ricordava che la
“casa comune di tutti gli uomini e le donne” va protetta, non con bombe o muri,
ma con diritto, giustizia, dignità e solidarietà.
Francesco è stato il papa dei poveri
e del pianeta. Un pastore venuto dall’Argentina e che camminava con gli ultimi.
Un uomo che diceva ai presidenti di ascoltare la scienza, agli economisti di
ascoltare i poveri, ai credenti di rispettare la Terra. E quando parlò sotto la
bandiera blu dell’ONU, disse al mondo che la salvezza non riguarda solo il
cielo ma anche il modo in cui viviamo insieme sulla Terra.
Io ero lì, in quell’aula
dell’Assemblea Generale, ad ascoltarlo. La sala era piena e divisa — 193 paesi
rappresentati, con fedi, ideologie e visioni del mondo molto diverse. Eppure,
in quel momento, sembrava che tutti stessero davvero ascoltando. Non un papa,
ma un uomo che parlava a nome di tutti. Non importava se fossi musulmano,
ebreo, cristiano, comunista, suprematista… le sue parole attraversavano ogni
identità. Quel giorno, Francesco non fu solo un leader religioso, fu un uomo
che parlava in nome dell’umanità.
Addio Francesco. Sei stato un papa
buono e generoso in un mondo dominato dalla crudeltà e dall’arroganza. Questo
ti ha reso scomodo. Questo ti ha reso necessario
***
(Stefano Vaccara www.lavocedinewyork.com
Giornalista e scrittore. Nato e cresciuto in Sicilia, laurea a Siena, master a
Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America con Il Giornale di
Montanelli, America Oggi e USItalia Weekly. Dal
Palazzo di Vetro oggi racconta l’ONU dopo aver fondato e diretto La Voce di New
York dal 2013 a gennaio 2023)