Non sono presentabili
e tuttavia ritornano a frotte
di
Sergio Rizzo - L'Espresso
ROMA -
Prevedendo sfracelli, il vicesegretario della Lega Roberto Vannacci
l’aveva messo in lista ad Arezzo. Ma serviva un miracolo. Per quanto impegno Bardelli
Roberto detto «Breda» avesse profuso in campagna elettorale, ha raccattato
solo 298 voti. Il tracollo della Lega in Toscana, dove il partito di Matteo
Salvini in versione «Mondo al contrario» ha perso 300 mila voti, ovvero
quasi l’85 per cento di quelli incassati alle Regionali del 2020, non l’ha
risparmiato. Così non avrebbe fatto meglio Roberto Bardelli a lasciar perdere,
come aveva suggerito la commissione parlamentare Antimafia?
Sempre che in questo caso, naturalmente, «suggerimento» sia un termine
appropriato. Per l’Antimafia presieduta dalla deputata di Fratelli d’Italia Chiara
Colosimo, il leghista Bardelli Roberto, aretino, classe 1972, era un «impresentabile».
L’unico ritenuto tale fra tutti i candidati alle elezioni regionali della
Toscana del 12 e 13 ottobre 2025. Motivazione? La condanna in primo grado a
un anno subita per la vicenda della municipalizzata Coingas.
Sentenza che ha pure causato, ai sensi della legge Severino, la sua sospensione
dal consiglio comunale di Arezzo decisa dal prefetto. Bardelli però non ci sta
ad essere bollato con quel termine infamante. Alla “Nazione” dice che la sua
fedina penale è immacolata, e comunque la condanna è già prescritta. Di
conseguenza, non vede perché debba rinunciare. È una questione di principio.
La storia
degli «impresentabili» nasce al tramonto della cosiddetta Prima Repubblica,
durante l’ultimo governo di Giulio Andreotti. All’inizio del 1991, la
commissione Antimafia guidata allora dal pidiessino ex Pci Gerardo
Chiaromonte approva un codice di autoregolamentazione per le candidature.
Meglio sarebbe una legge, ma si aggirerebbe con difficoltà. Perciò si ripiega
su un codice. Anche se, come vedremo, del tutto inutile.
Tangentopoli e
la piaga della corruzione restano ancora sullo sfondo; allora si pensa che il
problema etico più rilevante per la politica sia quella delle infiltrazioni
della criminalità organizzata, e dunque il dossier spetta all’Antimafia. Ma
dopo più di un ventennio da quel 1991 tutto è cambiato e il codice di autoregolamentazione
va aggiornato ed esteso. Da quel momento – corre l’anno 2013 e l’Antimafia è
guidata da Rosy Bindi – fioccano le censure per chi ha subito una
condanna penale, sia pure in primo grado, o è stato rinviato a giudizio anche
per reati contro la pubblica amministrazione. Con il numero che cresce a ogni
giro di giostra, dato che un marchio di «impresentabilità», per quanto
affibbiato da un organismo sulla carta tanto autorevole, non vieta di proporsi
agli elettori.
Così, nella
tornata delle elezioni regionali iniziata lo scorso anno, eccone già 21: sette
in Sardegna, cinque in Basilicata, tre in Calabria, due nelle Marche e in
Abruzzo, uno rispettivamente in Valle D’Aosta e Toscana. Più 23 per le elezioni
amministrative del maggio scorso. E altri sei per le elezioni europee del
giugno 2024. Totale, 50 candidati dichiarati «impresentabili» soltanto
nell’arco di 18 mesi. Che si sono presentati quasi tutti, e molti di loro
sono stati eletti dopo aver contestato le decisioni dell’Antimafia, considerate
in qualche caso soltanto politiche.
Il fatto è che
il giudizio della commissione parlamentare si basa sulle segnalazioni degli
inquirenti, ma trattandosi dell’applicazione di un codice non manca una
componente discrezionale. Alle Europee del 2024, per chiarire il concetto,
queste segnalazioni riguardavano ben 20 candidati: dei quali solamente sei sono
stati dichiarati «impresentabili». Fra questi, la coordinatrice di Italia Viva
in Calabria Filomena Greco, protagonista di una vicenda ritenuta
sconcertante che risale al 2016. Da sindaca di Cariati era finita in un
polverone giudiziario dopo aver rescisso il contratto per la raccolta dei
rifiuti a una società destinataria di interdittiva antimafia. «Mi aspettavo
un applauso istituzionale e non l’inserimento in una lista di impresentabili»,
dice all’Ansa ricordando di aver anche rinunciato alla prescrizione e
sospettando «veleni di palazzo». Lamentela però senza esito. Bocciata alle
Europee nel giugno 2024, Filomena Greco si candida alle elezioni regionali
calabresi di ottobre 2025. E di nuovo l’Antimafia la dichiara «impresentabile».
Lei va avanti e stavolta ce la fa.
Pure il suo
omonimo Greco Orlandino, sindaco di Castrolibero, viene eletto in
Calabria. Per la seconda volta. La prima, con il centrosinistra di Mario
Oliverio. Adesso, invece, con la Lega di Salvini. Anche se, scrive
l’Antimafia, «il Gip presso il Tribunale di Catanzaro abbia disposto il rinvio
a giudizio per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio
aggravato dal metodo mafioso, per il reato di scambio elettorale
politico-mafioso e per il reato di corruzione elettorale». Lui replica
sdegnato che «il Riesame e la Suprema Corte di Cassazione hanno già scritto in
sede cautelare a chiare lettere che i fatti non sussistono. Una Commissione più
politica che Antimafia rischia di etichettare e condannare le persone prima
ancora che un tribunale si pronunci». Concludendo: «Questo non è il garantismo
previsto dalla nostra Costituzione».
Rimostranza
simile a quella dell’ex senatore di Forza Italia Luigi Grillo, un tempo
potentissimo factotum dei Lavori pubblici che a 81 anni vuol rientrare nel giro
alle Europee. Ritrovandosi però anch’egli bollato come «impresentabile».
Protesta che non ha «conti in sospeso con la giustizia». Ma dopo un
patteggiamento di 2 anni e 8 mesi per corruzione gli argomenti si esauriscono.
Non l’unico condannato, a dire la verità, fra i candidati alle Europee. Anche
il capogruppo a Strasburgo di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza, pezzo da
novanta del partito della stessa presidente dell’Antimafia Chiara Colosimo, ha
patteggiato una condanna per corruzione ma non finisce tra gli «impresentabili».
E questo perché a differenza di Grillo la sua condanna, un anno e quattro mesi,
è inferiore ai due anni e quindi per la legge Severino può tranquillamente
sedere in un Parlamento, europeo o nazionale che sia.
Quanto alle
elezioni comunali, l’impresentabilità riguarda anche consiglieri, sindaci e
assessori delle amministrazioni sciolte per mafia. E qui ci si imbatte in casi
singolari. Per esempio quello di Palagonia, 15 mila
abitanti in provincia di Catania, sciolto dal governo di Giorgia Meloni
nell’agosto 2023. Gli amministratori hanno fatto ricorso al Tar, che però ha
confermato lo scioglimento. Quattro di loro, dichiarati come da regola «impresentabili»
dall’Antimafia, si sono ricandidati e in due sono stati rieletti. Salvatore
Astuti, sindaco dell’amministrazione sciolta per le presunte infiltrazioni,
è passato al primo turno con il 51 per cento dei voti tornando così a occupare
il posto di primo cittadino. Anche Francesco Paolo Favata è stato
rieletto, e ora è vice sindaco.
Ma se le cose
vanno così, e tutti o quasi gli «impresentabili» fanno spallucce, vi
chiederete: a che cosa serve un codice di autoregolamentazione che da 35
anni non autoregolamenta un bel niente? Non sarebbe più sensato fare una
legge, rimettendo anche a posto con l’occasione certe storture della Severino? Per esempio impedendo a chi è stato condannato in via
definitiva, anche a un solo giorno di carcere, di sedere in un’assemblea di
rappresentanti del popolo. L’articolo 54 della Costituzione non dice forse che
«i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle
con disciplina e onore…»?
***
(Sergio
Rizzo www.lespresso.it
- La sua carriera giornalistica è iniziata nelle redazioni di Milano
Finanza, Il Mondo e Il Giornale.
Dopo essere approdato al Corriere
della Sera, Rizzo si è dedicato ad inchieste sui malaffari italiani,
diventando una delle firme del quotidiano milanese. È coautore con Gian
Antonio Stella del libro-inchiesta sul mondo politico
italiano La
casta che, con oltre 1 200 000 copie e ben 22 edizioni, è
stato uno dei volumi di maggior successo del 2007 e ha aperto
un vasto dibattito sulla qualità della classe dirigente nazionale e sul suo
rapporto con i cittadini-elettori. Il 14 giugno 2017 è stato
annunciato il suo passaggio dal Corriere della Sera a La
Repubblica, in qualità di vicedirettore. L'11 novembre 2021 lascia La
Repubblica, dichiarando di essere stato costretto ad andare in pensione)