3° mandato:
governatori lungo corso ma con il trucchetto
di Segio
Rizzo - L'Espresso
ROMA - La
ragione per cui nessuno in democrazia può governare all’infinito l’ha
banalmente spiegata Barack Obama: «Se stai al potere troppo a
lungo perdi il senso della realtà». Il perché lo capirebbe anche un bambino. E
questa apparente banalità basterebbe per fare piazza pulita dell’assurdo
dibattito sul terzo mandato del presidente della giunta regionale. Peccato
soltanto che nei nostri palazzi il senso della realtà sia andato perduto da un
bel pezzo. Infatti quella ridicola diatriba va avanti
come se niente fosse.
A nulla serve
ricordare come pressoché in tutti i sistemi democratici siano stati posti
limiti temporali all’esercizio del potere, cominciando proprio dagli Stati
Uniti d’America, dove il limite dei due mandati al presidente è in vigore dal
1951. Ed è stato (finora) sempre rispettato, in virtù della banalissima
considerazione di cui sopra. A differenza dell’Italia, dove pure una norma che vieta di candidarsi per un terzo giro di giostra
al presidente della giunta regionale esiste da più di due decenni e una
dozzina di governi.
È l’articolo
2, primo comma, lettera f della legge 165 del 2 luglio 2004, approvata al tempo
del secondo esecutivo di Silvio Berlusconi, sostenuto da una
maggioranza identica all’attuale, sia pure con un peso diverso fra i suoi
azionisti. Ventuno anni fa. E a dimostrazione di come leggi anche così
importanti per il funzionamento di una democrazia, regolarmente approvate dai
rappresentanti votati dai cittadini e regolarmente in vigore, si possano
aggirare senza che venga giù tutto, a iniziare proprio dal governo di fatto
responsabile a vario titolo degli aggiramenti, ci sono quattro nomi. Sono
quelli dei presidenti di Regione che dopo il 2 luglio del 2004 sono riusciti
grazie a curiose acrobazie normative o interpretative a fare un terzo e, nel
caso di Roberto Formigoni, addirittura un quarto mandato. Gli
altri, oltre a Formigoni, sono l’ex presidente dell’Emilia
Romagna Vasco Errani, l’ex presidente del Molise Michele
Iorio e il presidente del Veneto Luca Zaia. Quest’ultimo, tuttora in carica. Ed
è proprio il caso di Zaia a rendere evidente come il famoso detto secondo cui
le leggi si applicano o si interpretano a seconda delle circostanze, sia
pienamente operativo. Arrivando a creare situazioni di disparità inaccettabili
fra istituzioni identiche.
Qualche
settimana fa la Corte Costituzionale ha bocciato
l’articolo 1 della legge regionale numero 16 del 2024 della Campania. Ecco il
testo: «Non è immediatamente rieleggibile alla carica di presidente della
Giunta regionale chi, allo scadere del secondo mandato, ha già ricoperto
ininterrottamente tale carica per due mandati consecutivi. Ai fini
dell’applicazione della presente disposizione, il computo dei mandati decorre
da quello in corso di espletamento alla data di entrata in vigore della
presente legge«. Si trattava chiaramente di una
legge “ad personam” per consentire al presidente della Regione Vincenzo De
Luca, del Pd, di candidarsi per un terzo mandato. Semplicissima la traduzione:
il calcolo dei due mandati consecutivi parte da quello in corso, che è già il
secondo. Per di più la legge approvata dal consiglio regionale, a completare
l’effetto antiestetico, portava formalmente la firma dello stesso De Luca.
La bocciatura
era scontata. La legge del 2004 che vieta il terzo mandato prescrive che siano
le Regioni, con una propria legge, a recepire il divieto. Su questo tutte le
Regioni ci hanno sempre giocato, sostenendo l’inefficacia del divieto in
mancanza di una legge regionale: cosicché bastava non fare la legge per evitare
il divieto. Almeno fino a quando, a più riprese e in differenti sedi
istituzionali è stato chiarito che il divieto è in vigore anche senza una legge
regionale che lo recepisca, per il semplice fatto che la normativa nazionale
sovrasta quella regionale.
De Luca
comunque ci ha provato. Ma sapeva già come andava a finire? Chissà. Di certo, a
giustificare il suo tentativo c’era un precedente che aveva funzionato
perfettamente per eludere la disposizione nazionale. Lo stesso presidente della
Regione Campania l’aveva detto pubblicamente, ben quattro anni fa. Per
raggiungere l’obiettivo del terzo mandato avrebbe copiato Zaia: «Faremo
quello che ha fatto la Regione Veneto. Da quando si approva la legge
elettorale della Campania scatta la norma dei due mandati, niente di
particolarmente innovativo».
Anche Zaia
infatti aveva firmato, il 16 gennaio 2012, una legge “ad personam” (la numero
5/2012) identica a quella che quasi 13 anni dopo avrebbe fatto approvare De
Luca. Articolo 6, comma 2: «Non può essere immediatamente ricandidato alla
carica di presidente della giunta chi ha già ricoperto ininterrottamente tale
carica per due mandati consecutivi». E poi articolo 27, comma 2: «La
disposizione di cui all’articolo 6, comma 2, si applica con riferimento ai
mandati successivi alle elezioni effettuate dopo la data di entrata in vigore
della presente legge». Ossia alla fine del calcolo dei mandati, quello in corso
non conta. Grazie a questo gioco di prestigio il 20 settembre 2020 Luca Zaia
si è ricandidato per la terza volta alla presidenza della Regione Veneto ed
è stato eletto con quasi il 77 per cento dei voti.
Perché allora
De Luca, a differenza di Zaia non potrà farlo, nonostante le due leggi “ad
personam” siano identiche? La vera differenza non è nella sostanza. Bensì nel
fatto che quella di De Luca è stata impugnata dal governo di Giorgia Meloni.
Mentre quella di Zaia, invece, non venne impugnata dal governo di Mario
Monti. E Zaia, che secondo la legge non poteva fare il terzo mandato, è
ancora lì. Per disattenzione, o calcolo politico? La risposta potrebbe darla
soltanto Monti. Il fatto è che nessuno, nemmeno a sinistra, sollevò il caso che
ora è stato (giustamente) sollevato con De Luca. Ed è questa la colpa politica
più grave.
***
(Sergio
Rizzo www.lespresso.it -
La sua carriera giornalistica è iniziata a Milano Finanza e il Mondo. Dopo
essere approdato al Corriere della Sera, Rizzo si è dedicato ad inchieste sui
malaffari italiani, diventando una delle firme più autorevol
del quotidiano milanese. È coautore con Gian Antonio Stella del libro-inchiesta
sul mondo politico italiano La casta che, con oltre 1
200 000 copie e ben 22 edizioni, è stato uno dei volumi di maggior successo del
2007 e ha aperto un vasto dibattito sulla qualità della classe dirigente
nazionale e sul suo rapporto con i cittadini-elettori. Il 14 giugno 2017 è
passato dal Corriere della Sera a La Repubblica, in
qualità di vicedirettore. L'11 novembre 2021 lascia La Repubblica, dichiarando
di essere stato costretto ad andare in pensione)