Intervista
alla politologa russa Ekaterina Schulmann: "Per
i russi è preferibile il negoziato alle ostilità"
di
Federico Fubini - Corriere della Sera
Le pare
sostenibile l’andamento della guerra per la Russia o avverte tensioni?
«Nulla è
scontato, siamo in uno scenario dagli esiti incerti» risponde a Federico
Fubini sul Corriere della Sera la politologa russa Ekaterina Schulmann, dal 2022 in esilio in Germania.
«In gennaio si
raggiungerà il numero impresso nella mente di tutti coloro che hanno
frequentato una scuola sovietica o russa: 1.418 giorni, la durata della Grande
Guerra Patriottica contro la Germania. Ma allora, circa due anni dopo l’inizio,
era già chiaro chi stesse vincendo».
L’incertezza
inizia a pesare sull’opinione pubblica russa?
«Forse è dalla
metà del 2023, con la presa di Bakhmut che questa
guerra non ha più avuto vere svolte. In questo periodo i cittadini e la classe
dirigente russa hanno attraversato varie fasi. La prima è stata lo choc.
L’invasione è stata una sorpresa totale per tutti, anche per le élite. C’era
chi credeva che avremmo preso Kiev in tre giorni, chi temeva una catastrofe
quando l’Occidente si è mobilitato e furono imposte le sanzioni».
Come cambiò
l’atmosfera quando si vide che invece teneva?
«Lo choc fu
sostituito da quella che ora definirei un’euforia malsana. Ci si è sentiti
onnipotenti. Il messaggio delle autorità era che non sarebbe stata una campagna
rapida e trionfale, ma che una guerra su vasta scala sarebbe stata buona per la
Russia. Alle élite fu detto che avrebbero fatto soldi, perché ci sarebbero
state opportunità per le loro imprese. Che c’erano da prendere le attività
abbandonate dagli stranieri».
E alle
persone comuni?
«Che avrebbero
guadagnato firmando contratti per andare a combattere. […] In realtà c’erano
solo perdite: avevamo conquistato territori pieni di macerie e di ossa, che
hanno bisogno di investimenti enormi per tornare anche solo approssimativamente
abitabili. Ma per una lunga fase del 2023 e 2024 il complesso
militare-industriale si è rilanciato. I burocrati lavoravano per essere notati
e promossi. Erano strazianti, ma lo sforzo di guerra ha sostenuto l’intero
Paese».
Ora la
Russia è quasi in recessione.
«[…] quella
luna di miele ha iniziato a esaurirsi già durante il 2024. Come dice la mia
collega Tatiana Stanovaya, Vladimir Putin era
frustrato perché al fronte vinceva sempre e poi non accadeva mai nulla. È
subentrata la stanchezza della guerra, l’idea che non la stiamo perdendo, ma si
è arenata. Già alla fine del 2024 è comparsa nei sondaggi una maggioranza che preferiva
i negoziati al proseguimento delle ostilità. Poi sono arrivate l’inflazione e
le aziende che, per non licenziare, mettevano i dipendenti in ferie non pagate.
In più, una nuova stretta di controlli anche sulle tecnologie. E i russi al
loro comfort ci tengono. Magari disprezzano i diritti umani e la loro dignità
di cittadini, ma sono gelosi del proprio benessere».
A quel
punto cosa è successo?
«Le
repressioni contro le élite sono iniziate dopo le presidenziali del 2024. Sotto
forma di lotta alla corruzione, sono stati colpiti alti burocrati e le loro
famiglie. E la destabilizzazione delle élite, la stanchezza di guerra e gli
effetti negativi di questa determinano l’atmosfera attuale. La Russia ha
raggiunto i limiti della propria capacità di adattarsi».
Putin lo
capisce?
«[…] anche lui
potrebbe avvertire la tensione nel Paese. Non c’è ancora la percezione che il
leader sia un peso e un fattore di rischio. Ma la direzione di marcia è
pericolosa per il sistema. Ed è pericoloso per il presidente apparire come
l’unico ostacolo tra la nazione e una pace desiderabile»
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(Federico
Fubini www.corriere.it)