Gli europei si preparano ad affrontare
l’effetto Trump sull’Ucraina. Il ruolo decisivo di Francia e Polonia
di Pierre Haski - France Inter
PARIGI
- Vi ricordate di quando Donald Trump si vantava di poter risolvere la guerra
in Ucraina nell’arco di 24 ore? La realtà si è rivelata più complicata degli
slogan elettorali, perfino per lui.
Eppure l’elezione del miliardario, poco
incline a confermare il sostegno all’Ucraina, ha innegabilmente rimescolato le
carte. Kiev ha capito che rischia di essere abbandonata al suo destino, come
dimostra il tweet volgare con cui il figlio del presidente eletto statunitense
ha paragonato gli aiuti a un paese aggredito a una “paghetta” per Volodymyr Zelenskyj.
Gli
europei hanno fatto presente alla futura amministrazione statunitense tutte le
implicazioni che una vittoria di Putin in Ucraina avrebbe per la credibilità
della leadership americana. L’apice di questa manovra di convincimento è stato
l’incontro, il 6 dicembre scorso nell’ufficio del presidente francese Emmanuel
Macron, fra Trump e Zelenskyj, entrambi a Parigi per
la riapertura della cattedrale di Notre-Dame.
Anche
in assenza di annunci rumorosi, i termini dell’equazione sembrano cambiare.
Sotto l’effetto Trump siamo passati dalla questione dei territori a quella
della sicurezza. Finora l’Ucraina aveva posto il ripristino della sovranità
piena come condizione imprescindibile per mettere fine alla guerra, ma il
rapporto di forze sul campo, diventato favorevole alla Russia, ha reso questa
ipotesi se non impossibile, sicuramente lontana e costosa in termini di vite
umane e sostegno economico occidentale.
Oggi
l’Ucraina sa che dovrà sacrificare i territori conquistati dalla Russia, in
attesa di giorni migliori. Al momento si ipotizza uno scenario tedesco, in
riferimento alle due Germanie che sono rimaste separate per decenni, ma che
alla fine si sono riunite.
Per
compiere questo sacrificio, che sarà duro da accettare dopo tutti i morti
provocati da questa guerra, l’Ucraina chiede reali garanzie di sicurezza, in
modo da assicurarsi che il conflitto non riprenda non appena l’occidente
volterà la spalle.
A
cosa potrebbero somigliare queste garanzie? Di sicuro non a quello che è stato
fatto finora. Nel 1994 era stato firmato a Budapest, in Ungheria, un memorandum
sostenuto dai membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
per garantire la protezione dell’Ucraina contro qualsiasi minaccia militare non
provocata. In cambio l’Ucraina rinunciava all’arsenale nucleare presente sul
suo territorio al momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Mi ricordo
di aver visitato Kiev con Roland Dumas, ministro degli esteri francese
dell’epoca, che aveva il compito di convincere gli ucraini ad accettare. Oggi
sappiamo che quel memorandum si è rivelato inutile.
L’adesione
dell’Ucraina alla Nato sarebbe la garanzia suprema, grazie all’articolo 5 che
assicura la solidarietà automatica in caso di aggressione. Ma Putin non lo
accetterà mai e Trump è dello stesso avviso. Allora si fa strada una terza via:
il dislocamento in Ucraina di truppe dei paesi Nato che agiscano
indipendentemente e offrano una garanzia concreta di difesa della sovranità del
paese.
Era
questo l’obiettivo dei colloqui avuti il 12 dicembre a Varsavia da Macron. Se
una simile ipotesi dovesse realizzarsi Francia e Polonia sarebbero tra i
principali paesi a inviare i loro soldati. Questa soluzione è ancora lontana,
ma il fatto che i leader europei ne parlino è già un passo avanti e offre agli
ucraini una prospettiva un po’ più incoraggiante di una pace negoziata in 24
ore, che non risolverebbe nulla.
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(Pierre
Haski è un giornalista francese, tra i fondatori del sito d’informazione
Rue89. Ha una rubrica quotidiana di politica internazionale su radio
France Inter, pubblicata ogni mattina sul sito di "Internazionale". Traduzione
di Andrea Sparacino)