La grande
fuga dalla rivista 'Limes' edita dalla Gedi e diretta da Lucio Caracciolo
ROMA - Dopo
l’uscita di Federigo Argentieri, Franz Gustincich e
Giorgio Arfaras dai comitati di Limes - rivelata da
Adnkronos con un'intervista ad Argentieri - anche il generale Vincenzo
Camporini ha annunciato la sua uscita dal Consiglio scientifico della rivista
di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo. A renderlo noto è stato lo
stesso Camporini con un messaggio pubblicato su X, nel quale motiva la
decisione con una “incompatibilità con la linea politica di mancato sostegno ai
principi del diritto internazionale, stracciati dall’aggressione russa all’Ucraina”.
Camporini è stato capo di Stato maggiore dell'Aeronautica e della Difesa.
L’annuncio
arriva a poche ore dalla pubblicazione dell’intervista in cui
Argentieri, professore di scienze politiche e direttore del Guarini Institute
for Public Affairs della John Cabot University, ha spiegato le ragioni della
sua uscita da Limes, rivista di cui faceva parte sin dalla fondazione nel 1993.
Una decisione maturata nel tempo e resa, a suo giudizio, inevitabile dal
contesto internazionale e dal modo in cui il conflitto ucraino è stato
raccontato negli anni.
LA FUGA DA
"LIMES"
di Giorgio
Rutelli per adnkronos.com
ROMA -
Federigo Argentieri, professore di scienze politiche e direttore del Guarini
Institute for Public Affairs della John Cabot University, è stato nel comitato
redazionale di “Limes”, la rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo,
sin dalla sua fondazione nel 1993. Ma il mese scorso ha inviato un telegramma,
insieme a Franz Giustincich e Giorgio Arfaras (che faceva parte del consiglio scientifico), per
chiedere di essere rimosso.
Un piccolo
scossone nella prima pagina della rivista, che finora era stata piuttosto
immutabile, così immutabile che si possono contare almeno tre morti (Furio
Colombo dal 2025, Luigi Vittorio Ferraris dal 2018 e Luciano Antonetti
addirittura dal 2012), senza che i nomi siano accompagnati da una piccola croce
o una losanga come si usa in questi casi.
Professore,
partiamo dalla notizia. Lei ha deciso di uscire dal consiglio redazionale di
Limes. Perché proprio ora?
Siamo in una
fase cruciale, probabilmente la più difficile per l’Ucraina dall’inizio della
guerra, non tanto sul piano militare quanto su quello diplomatico e
internazionale. Con gli Stati Uniti che si svincolano dalla Nato, che attaccano
l’Unione europea apertamente, e con un allineamento sempre più evidente tra
America e Russia, questo è il momento in cui bisogna fare scelte chiare, senza
ambiguità.
In questo
contesto ho ritenuto che non fosse più ammissibile che il mio nome comparisse
nel tamburino di Limes.
Parla di
una decisione politica e morale, non personale.
Non si tratta
di opportunismo né di “saltare sul carro del vincitore”, anche perché l’Ucraina
oggi non è certo il vincitore. È una scelta di coerenza. Io ho scritto poco per
Limes, anche perché il suo approccio geopolitico – centrato quasi
esclusivamente sui rapporti di forza – non mi è mai stato del tutto congeniale.
Ma il punto non è questo. Il vero problema è il pregiudizio strutturale che la
rivista ha nei confronti dell’Ucraina da oltre vent’anni.
Vent’anni
sono tanti. Quando individua la svolta?
La svolta è
chiarissima: 2004, la Rivoluzione arancione. Da lì in poi Limes assume una
postura costantemente diffidente, se non apertamente ostile, verso l’Ucraina. È
lo stesso momento in cui esce in Italia “Raccolto di dolore” di Robert Conquest
sulla carestia staliniana, libro che ho curato e prefato dopo averlo
letteralmente fatto uscire da un cassetto dove era stato relegato per anni. E
cosa fa Limes? Pubblica a puntate – poi per fortuna solo una – “L’autobus di
Stalin” di Antonio Pennacchi: un’orrenda apologia cinica del dittatore,
mascherata da allegoria grottesca. Un bravo scrittore che conosce bene le
dinamiche dell’Agro pontino ma ben poco quelle sovietiche, che si inerpica in
un esercizio davvero incomprensibile.
Un affronto
personale?
Lo fu. Non
solo sul piano scientifico e morale, ma anche umano. All’epoca io e Lucio
Caracciolo eravamo amici da vent’anni. Non una conoscenza superficiale. Vedere
ridicolizzata la tragedia della collettivizzazione e della carestia ucraina in
quel modo fu per me inaccettabile. Ci fu una protesta formale dell’Associazione
italiana di studi ucrainistici e anche pressioni
interne: la seconda puntata non uscì. Ma la linea non cambiò.
Lei però è
rimasto dentro Limes per altri vent’anni. E nella rivista hanno scritto spesso
autori decisamente non filo-russi.
Per una
combinazione di fattori. Perché si potevano trovare anche analisi
condivisibili, perché nessuno ha mai messo in discussione la mia presenza. I
legami personali, come spesso accade, sono duri a morire. E poi c’era sempre la
speranza, forse ingenua, di un cambio di rotta. Cambio che non c’è mai stato,
anzi: dal 2014 in poi le cose sono peggiorate.
Si
riferisce all’annessione della Crimea e alla guerra nel Donbas.
Da allora
Limes ha iniziato a pubblicare sistematicamente mappe con la Crimea colorata
come Russia, spesso anche il Donbass. Alla protesta ripetuta dell’ambasciatore
ucraino, Caracciolo rispondeva: “Se cambierà la realtà, cambieremo il colore
della cartina”. È un’assurdità cartografica prima ancora che politica. Le aree
contese si rappresentano come tali. Qui invece si faceva una scelta netta.
Dopo il
2022 la frattura diventa definitiva.
Alla vigilia
dell’invasione del 24 febbraio 2022, Caracciolo dichiara in televisione che la
Russia non avrebbe mai invaso. Una previsione clamorosamente sbagliata. Qui
entra in gioco un tema fondamentale: l’accountability, una parola che in
italiano non ha traduzione e forse si capisce perché. Se sei un esperto
geopolitico e sbagli in modo così macroscopico, in qualche modo dovresti
renderne conto. In Italia questo non accade.
E
secondo lei
questo ha contribuito all’attuale approccio televisivo alla guerra, in cui si
cerca una specie di par condicio tra chi difende l’Ucraina e chi gli interessi
di Mosca?
È una nube
tossica mediatica che avvelena il pubblico e finisce per influenzare anche la
politica. Limes e Caracciolo hanno una responsabilità maggiore di tanti
ciarlatani televisivi proprio perché il loro livello culturale è elevato.
Quando una fonte autorevole contribuisce alla disinformazione, il danno è più
grave. Negli altri paesi europei, Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, non
c’è la carrellata di figure improponibili che oggi trovano grande spazio in
certi programmi. Neanche Fox News è così schierata, solo in Russia si vedono le
trasmissioni che ci sono in Italia. I miei colleghi stranieri sono stupefatti
davanti a questa, chiamiamola, unicità.
Però non
tutta l’informazione televisiva ospita filo-russi o
figure impreparate.
Si salvano
alcuni programmi del mattino, quando però l’audience totale è un quarto di
quella serale, come a dire: tra pochi si possono fare riflessioni più sensate,
mentre quando il pubblico cresce bisogna sparare panzane. Per fortuna ci sono i
due canali all news, Rainews24 e Skytg24, e
soprattutto la radio, con in testa l’ottima Rai Radio1, seguita da Radio24 e
altri canali che fanno informazione in modo corretto.
La sua non
è l’unica uscita da Limes.
Franz Giustincich, giornalista e analista geopolitico, storico
collaboratore della rivista e profondo conoscitore dell’Europa
centro-orientale, lascia il consiglio redazionale.
Giorgio Arfaras, economista, vicepresidente del Centro Einaudi e
commentatore economico del Corriere della Sera, esce invece dal consiglio
scientifico.
In
conclusione: è una rottura definitiva o un atto di testimonianza?
È un atto di
coerenza. Non mi interessano le rotture simboliche, ma le responsabilità
intellettuali sì. In un momento come questo, non si può restare dentro una
cornice che contribuisce a deformare la comprensione della realtà. Per me,
semplicemente, non era più ammissibile.
(di Giorgio
Rutelli per Adnkronos)
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