La scommessa americana per impedire la
vittoria di Putin in Ucraina. Gli aiuti decisi a Washington sono determinanti
di Pierre Haski - France Inter
PARIGI
- Il 20 aprile Volodymyr Zelenskyj ha preso la
parola per garantire agli ucraini che l’occidente non ha abbandonato il loro
paese. Ma prima di mandare questo messaggio, il presidente ucraino ha dovuto
attendere l’esito di una lunga battaglia politica finita a Washington il giorno
prima, quando la camera dei rappresentanti ha votato a larga maggioranza lo
stanziamento di 61 miliardi di dollari di aiuti. La decisione era attesa da
Kiev come un responso di vita o morte.
Nei
giorni che hanno preceduto il voto, i servizi di sicurezza statunitensi hanno
fatto sapere che senza gli aiuti l’esercito ucraino sarebbe stato condannato
alla sconfitta di fronte a una Russia nettamente superiore sul piano degli
armamenti e delle forze in campo. Anche lasciando da parte la drammatizzazione
dovuta al clima politico negli Stati Uniti, la scelta della camera
rappresentava innegabilmente un momento decisivo per le unità ucraine impegnate
al fronte, demoralizzate dall’incapacità di rispondere al fuoco di artiglieria
russo a causa della mancanza di munizioni.
Il
presidente repubblicano della camera Mike Johnson, che inizialmente era ostile
agli aiuti, ha cambiato opinione per non ritrovarsi “dalla parte sbagliata
della storia”, ovvero quella di chi avrebbe favorito la vittoria di Vladimir
Putin. In ogni caso Johnson si è preoccupato di chiedere il parere di Donald
Trump, che non ha posto il suo veto.
Gli
aiuti statunitensi destinati all’Ucraina saranno spediti quando il senato
confermerà il voto della camera. Dovrebbe trattarsi di una formalità, e lo
stesso vale per la firma del presidente Joe Biden. È
una questione di giorni.
Nell’intervento
del 20 aprile Zelensky ha sottolineato che dovrà esserci “la minore distanza
possibile” tra le decisioni politiche e “la capacità di infliggere danni al
nemico, ovvero tra l’approvazione dei cambiamenti e i rinforzi di cui i nostri
uomini hanno bisogno al fronte”.
Da
questa richiesta emerge tutta l’angoscia che ha colpito gli ucraini in queste
ultime settimane, tra la carenza di munizioni per resistere agli assalti russi
al fronte e l’incapacità di proteggere le infrastrutture e la popolazione
davanti ai missili e ai droni di Mosca. In questo contesto è emersa la
differenza rispetto alla protezione di cui ha goduto Israele da parte degli
alleati occidentali durante l’attacco iraniano, che ha rafforzato la sensazione di abbandono degli ucraini.
Questi
aiuti basteranno a cambiare il corso della guerra? Di sicuro permetteranno di
scongiurare un indebolimento potenzialmente drammatico dell’esercito di Kiev.
Oggi l’Ucraina ha la necessità di rafforzare le proprie capacità di difesa
rispetto alle pressioni russe e soprattutto all’offensiva di Mosca contro città
come Kharkiv o Odessa, attesa per l’inizio dell’estate.
L’Ucraina
deve tenere duro fino alla fine di questo anno difficile. L’aiuto degli
statunitensi e degli europei dovrebbe dare i suoi frutti alla fine dell’anno e
soprattutto l’anno prossimo. L’obiettivo, dunque, è chiaro: resistere e
invertire i rapporti di forze, oggi favorevoli alla Russia.
In
questo modo l’Ucraina può sperare di vincere? Nelle circostanze attuali sono in
pochi a crederci. Se oggi Kiev aprisse un negoziato, chiaramente in posizione
di debolezza, sarebbe condannata alla capitolazione. Le cose andrebbero in modo
diverso se fosse Mosca a trovarsi nell’impasse e costretta a sedersi al tavolo
delle trattative. Questa è la scommessa dei 61 miliardi di dollari
statunitensi, che arrivano tardi, ma forse non troppo.
***
(Pierre
Haski è un giornalista francese, tra i fondatori del sito d’informazione
Rue89. Ha una rubrica quotidiana di politica internazionale su radio
France Inter, pubblicata ogni mattina sul sito di "Internazionale" -
Traduzione di Andrea Sparacino - Sostenete la buona stampa con un abbonamento a
"Internazionale")