Stati Uniti, un enorme e rischioso passo avanti per le criptovalute. La nuova legge voluta da Trump

Servizio di "il Post"

 

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato il Genius Act, una legge già approvata dal Congresso che regolamenta a livello federale i pagamenti digitali fatti con le stablecoin”, un tipo di criptovaluta: semplificando molto, il risultato principale è che le stablecoin potranno diventare uno strumento di pagamento al pari di un bonifico o di una transazione con la carta di credito.

 

È una legge non solo innovativa, ma rivoluzionaria per l’intero settore delle criptovalute, che finora erano rimaste sempre fuori dai circuiti ufficiali di pagamento. Con Trump alla presidenza stanno però trovando un nuovo riconoscimento nella finanza tradizionale, anche per via del problematico coinvolgimento suo e della sua famiglia nel business delle piattaforme che le trattano. Al Congresso sono in discussione altre due importanti leggi in favore di una loro maggior diffusione: nelle ultime settimane questo ha fatto salire il valore dell’intero mercato, arrivato al record di 4mila miliardi di dollari.

 

La legge vale ovviamente solo per gli Stati Uniti, mentre altrove rimarranno valide le regole attuali. Nell’Unione Europea per esempio le stablecoin non potranno essere accettate come mezzo di pagamento, benché ci sia un regolamento specifico che ne permetta usi diversi. È però probabile che il Genius Act – che sta per Guiding and Establishing National Innovation for US Stablecoins Act – sarà una legge pioniera per l’innovazione e lo sviluppo dell’intero settore, di cui gli Stati Uniti si sono posti alla guida. Allo stesso tempo, gran parte degli economisti la ritiene un azzardo per l’intera economia.

 

Partiamo con le definizioni. Le stablecoin sono un particolare tipo di criptovaluta, e fino a poco tempo fa erano solo una nicchia: sono criptovalute emesse da società private, e il cui valore è legato a quello di qualcos’altro, una valuta o una materia prima generalmente stabile (da qui il nome). La quasi totalità è legata all’andamento del dollaro statunitense, e secondo quanto prevede il Genius Act le società che le emettono devono avere riserve in dollari proprio per garantirne il valore.

 

Significa che nei fatti una stablecoin ancorata al dollaro e il dollaro stesso sono intercambiabili: per esempio, la stablecoin più diffusa è Tether, che è legata al dollaro con un rapporto 1:1. Quindi se il dollaro sale guadagna valore anche Tether, e se il dollaro scende lo stesso fa Tether: il Genius Act prevede che se Tether vuole emettere 10 milioni di stablecoin, dovrà avere riserve a garanzia pari a 10 milioni di dollari, che possono essere in dollari fisici o in titoli di Stato americani, cioè i cosiddetti treasury (questo è un dettaglio cruciale della faccenda, e ci torniamo).

 

A differenza delle criptovalute tradizionali, come i Bitcoin, questo meccanismo dà alle stablecoin un andamento meno erratico. Sono cioè molto meno soggette a perdite improvvise di valore o a guadagni altrettanto improvvisi: in gergo finanziario si dice che sono meno volatili, e questo le rende più idonee a essere uno strumento di pagamento delle normali criptovalute, molto criticate invece dalle autorità di regolamentazione per la loro eccessiva volatilità.

 

La stabilità delle stablecoin risolve quindi una rilevante critica della comunità finanziaria sulla sicurezza delle criptovalute, ma ne lascia scoperta un’altra: l’affidabilità degli emittenti, visto che la storia delle criptovalute, sebbene recente, è già piena di fallimenti e frodi ai danni degli investitori.

 

Il Genius Act stabilisce un ampio e complesso quadro regolatorio intorno alle stablecoin, mentre i dettagli più pratici dovranno essere definiti in seguito. Prevede che queste possano essere emesse non solo dalle banche o in generale dagli intermediari finanziari, che quindi sono già vigilati dalle autorità finanziarie, ma anche da società di altro tipo: potrebbe esserci una stablecoin di Walmart o di Amazon, per esempio. Le società che emettono meno dell’equivalente di 10 miliardi di dollari ricadranno sotto la giurisdizione dei singoli stati; quelle che sforano il limite sotto quella delle autorità federali.

 

La conseguenza di questa distinzione sarà il proliferare di tante piccole stablecoin, e molte banche e società hanno da tempo iniziato ad attrezzarsi in tal senso. Si creeranno cioè tante e diverse stablecoin, emesse da tante e diverse società, sottoposte a tante e diverse leggi. E tutti gli esercenti negli Stati Uniti saranno obbligati ad accettarle. Il loro successo però sarà infine determinato dalla loro diffusione e popolarità: più una moneta circola e più viene riconosciuta come mezzo di pagamento, e questo non è detto che accada con la stablecoin, per cui serve una minima conoscenza tecnologica e finanziaria che non tutti hanno.

 

I sostenitori della legge dicono che con l’ingresso delle stablecoin tra i mezzi di pagamento si abbasseranno ancora le commissioni delle transazioni, e che diventerà più efficiente e facile spostare fondi da una parte all’altra (che poi è la ragione originaria dietro il successo delle criptovalute). A loro dire però sarà anche un vantaggio per il bilancio dello Stato.

 

Dato che le stablecoin più diffuse sono quelle ancorate ai dollari (i cui emittenti devono per forza avere riserve in questa valuta o sotto forma di titoli di stato statunitensi, sempre in dollari), promuovendone l’uso l’amministrazione cerca di rafforzare il ruolo del dollaro come valuta di riferimento nel mondo, e quello dei titoli di Stato americani come tipico investimento sicuro e di riserva. Lo sono già, ma sempre meno per via delle scelte politiche di Trump, che negli scorsi mesi hanno affossato il valore del dollaro e hanno portato gli investitori a vendere i titoli, a causa di una scarsa fiducia verso l’economia statunitense.

 

È proprio sui titoli di Stato – cioè quei titoli con cui lo Stato si fa prestare i soldi dagli investitori – che risiede la maggiore opportunità di questa legge: se gli emittenti sono costretti a comprarne in grande quantità, il loro mercato sarà in certa misura gonfiato, i loro prezzi saranno sostenuti e i tassi di interesse che lo stato dovrà pagare scenderanno (prezzi e tassi dei titoli di Stato hanno un andamento inverso). Ed è qualcosa di cui Trump ha molto bisogno per finanziare l’aumento del debito pubblico necessario per ridurre le tasse, come vorrebbe fare.

 

Diversi osservatori, tra cui il noto economista Barry Eichengreen sul New York Times, hanno evidenziato come una regolamentazione del genere possa riportare il sistema dei pagamenti indietro di 200 anni, cioè a come funzionava negli Stati Uniti negli anni Trenta dell’Ottocento, quando non c’era ancora una banca centrale federale a vigilare sul sistema bancario e monetario. Quel periodo è noto come Free Banking Era, e portò a un sostanziale disastro finanziario.

 

Il rischio, come allora, è che si crei una situazione in cui coesistono centinaia di monete diverse, la cui affidabilità cambierà a seconda della affidabilità stessa dell’emittente e di quanto saranno vincolanti i controlli da parte delle autorità competenti sui suoi bilanci. Le variabili sono diverse e rischiano di rendere irrealistica la stabilità che dovrebbero avere le stablecoin, e di rendere anche molto problematico capire se fidarsi o meno. Anche il calcolo del valore delle stablecoin sarebbe complicato: come fa notare Bloomberg, il legame tra dollaro e stablecoin non è davvero perfetto nella realtà, e anche queste sono soggette ad alcune fluttuazioni.

 

Nella Free Banking Era le decine – ed erano solo decine – di diverse valute in circolazione crearono un gran caos finanziario, vari fallimenti e affossarono il grande vantaggio di avere una moneta unica e universalmente riconosciuta. Tutto questo, secondo la maggioranza degli economisti, rischia di ripetersi in scala ancora più ampia, visto che nel frattempo l’economia è diventata molto più grande e interconnessa, e le informazioni viaggiano molto più velocemente. Ma c’è un altro rischio, ancora più preoccupante.

 

Visto che gli emittenti di stablecoin diventeranno con ogni probabilità i primi compratori di titoli di Stato americani (la sola società dietro Tether per esempio ne ha più di quanti ne abbia l’intera Germania), questo espone i treasury a un rischio sistemico: nell’eventualità in cui un grosso emittente dovesse fallire – e portarsi dietro a catena altri emittenti, col consueto contagio che esiste coi fallimenti bancari – si ritroverebbe a vendere sul mercato miliardi di dollari di titoli di Stato americani, col risultato che il loro valore potrebbe crollare, mentre potrebbero aumentare i tassi di interesse (che, lo ricordiamo, seguono percorsi opposti). Questo è un rischio enorme per la stabilità di tutto il sistema finanziario statunitense e mondiale.

 

Una soluzione a questi rischi sarebbe una sorta di valuta digitale emessa dalla banca centrale, un’opzione che però Trump ha espressamente e ripetutamente rigettato: preferisce cioè che a gestirle siano le aziende private, come quelle della sua famiglia che da prima delle elezioni si è buttata nel settore delle criptovalute (anche delle stablecoin) facendo un bel po’ di soldi. È un conflitto di interessi abbastanza evidente, ma che Trump pubblicamente smentisce e che non sta trovando grande presa neanche tra l’opposizione: il Genius Act, per esempio, è stato approvato con l’appoggio anche di una parte dei Democratici, secondo cui ostacolare la diffusione delle criptovalute potrebbe ostacolare l’innovazione di tutto il settore.

 

Un progetto di valuta digitale unica è quello che invece sta portando avanti l’Unione Europea: è l’euro digitale, una valuta del tutto intangibile ma al pari dei contanti. È un progetto su cui l’Unione sta investendo molto, e che ha trovato nuovo entusiasmo nella politica europea anche per il recente peggioramento delle relazioni con gli Stati Uniti, dove hanno sede Visa e Mastercard, le aziende che hanno il monopolio mondiale sui circuiti di pagamento digitale.

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(Credits: www.ilpost.it)