Libano: Che farà - o non farà - l'Unifil? Chi decide? Risponde Jean-Pierre Lacroix 

di Stefano Vaccara - La Voce di New York

 

NEW YORK - Al Palazzo di Vetro dell’ONU la situazione incandescente al confine tra Israele e il Libano sta creando grandi apprensioni tra coloro che hanno la responsabilità nel misurare il fattore rischio della missione dei caschi blu schierata in quel territorio. Jean-Pierre Lacroix, il capo del dipartimento delle Nazioni Unite per le operazioni di pace nel mondo, ha convocato i giornalisti per parlare di UNIFIL, la missione di “peace-keeping” composta da 10.058 peacekeeper provenienti da 50 paesi contributori (1000 dall’Italia). Nella missione sono presenti anche circa 800 civili. UNIFIL resta ancora schierata nel Sud del Libano nonostante Israele e Hezbollah siano ormai in aperto conflitto.

 

Lacroix ha risposto a domande che cercavano chiarimenti su perché i caschi blu, che dovrebbero “mantenere la pace”, fossero rimasti schierati ancora in un territorio dove la pace non c’è più. Il capo del peacekeeping dell’ONU ha risposto dicendo che la missione UNIFIL, nonostante la situazione difficile, continua perché provvede all’aiuto umanitario dei civili rimasti (secondo le autorità libanesi già un milione di libanesi avrebbe lasciato il sud del Libano). Però Lacroix ha detto che non viene esclusa una “evacuazione parziale o totale” delle truppe ONU. “Nel caso – ha spiegato – la situazione dovesse aggravarsi, fino ad arrivare allo scenario peggiore, potremmo arrivare a un’evacuazione parziale o addirittura totale”.

 

Lacroix ha inoltre dichiarato che le Nazioni Unite stanno analizzando di continuo i piani del contingente. Il diplomatico ha difeso la missione e definito “totalmente giustificata” la presenza del contingente di pace, ricordando come il Segretario Generale Antonio Guterres, durante la riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza di mercoledì, aveva detto che Israele aveva chiesto di spostare i caschi blu dell’ONU da alcuni settori della linea blu, ma che lui ha ripetuto che UNIFIL resta dov’è e che orgogliosamente  “la bandiera dell’ONU continua a sventolare”. (Intanto nelle stesse ore il governo israeliano dichiarava Guterres “persona non grata” in Israele, perché non aveva espressamente condannato l’Iran dopo l’attacco missilistico sul suo territorio di mercoledì).

 

A questo punto verrebbe da pensare che cosa accadrebbe se le basi dell’ONU venissero colpite mentre si combatte tra l’IDF e Hezbollah: chi sarebbe ritenuto il maggiore responsabile delle eventuali vittime, gli israeliani che avevano avvertito Guterres, o quest’ultimo che ha rifiutato di rimuovere i caschi blu?

 

Intanto l’ambasciatore dell’Italia all’ONU Maurizio Massari, proprio mercoledì sera aveva avuto un incontro con Lacroix per ribadire la preoccupazione con cui l’Italia segue l’evolversi della situazione in Libano e in Medio Oriente e per ribadire la priorità di garantire la sicurezza del personale Unifil, ndr).

 

Per questo a Lacroix abbiamo chiesto cosa ne pensasse delle dichiarazioni di Antonio Tajani durante l’audizione al Senato tenuta oggi e in cui il ministro degli Esteri italiano ha detto che “la soluzione diplomatica ruota anche intorno al rafforzamento della capacità operativa di Unifil che deve essere messa nelle condizioni di svolgere appieno il suo mandato. (…) Ma non dipende da noi prendere questa decisione, dipende dalle Nazioni Unite”.

 

“Non spetta a me commentare o interpretare quello che il ministro degli Esteri italiano ha detto” ha risposto Lacroix, aggiungendo: “La volontà politica di attuare la risoluzione 1701 è fondamentale. La risoluzione 1701 è  continua ad essere un quadro di risoluzione accettato da entrambe le parti. Sono tutti impegnati a come passare da dove siamo, che è una terribile situazione di rischio, alla certificazione del ritorno al tavolo delle trattative e la ricerca di un percorso verso l’attuazione della 1701. Continuo a dire che non spetta a UNIFL implementare 1701, ma  UNIFIL deve supportare l’implementazione di 1701 da parte delle parti in conflitto. Ora, se arriviamo a quella fase che speriamo arrivi, dovremo riflettere con i membri del Consiglio di Sicurezza, con Unifil, con tutte le parti interessate, su come possa essere adattato per svolgere meglio quel ruolo. E ovviamente, guardando a quello che io chiamo lo scenario positivo. Ma in questo momento penso che la priorità sia davvero intensificare gli appelli e gli sforzi diplomatici per garantire che la via diplomatica sia privilegiata rispetto all’escalation”.

 

A Lacroix abbiamo anche chiesto di immaginare uno scenario dove alcuni civili libanesi fossero presi tra due fuochi nei combattimenti tra israeliani e Hezbollah, e a questo punto chiamassero i caschi blu in loro aiuto: cosa farebbero le forze di pace ONU? Interverrebbero?

 

“Penso, anzi ne sono sicuro” ha risposto Lacroix, “che le forze di pace farebbero tutto ciò che è in loro potere per proteggere la popolazione. Non mi addentrerò nel micromanaging, esattamente. Spetta a loro valutare cosa possono fare”.

 

Ma chi è esattamente il Commander-in-Chief, il Comandante in Capo per eccellenza, dei Caschi Blu? Chi è l’ultimo a decidere cosa i caschi blu, in una situazione di emergenza, possono e non possono fare?

 

“Abbiamo una catena di comando molto chiara” ha replicato l’alto funzionario francese dell’ONU Lacroix. “Il Comandante della Forza è responsabile su tutto ciò che fa UNIFIL. E poi abbiamo il quartier generale qui, il Dipartimento per le operazioni di pace e infine sopra di tutti il suo boss” ha concluso indicando Stephane Dujarric, il portavoce del Segretario Generale dell’ONU. Cioè l’ultima parola su ciò che farà o non farà l’UNIFIL per proteggere i suoi caschi blu e/o i civili libanesi spetta ad Antonio Guterres.

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(Stefano Vaccara - www.lavocedinewyork.com - Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018)