Mike Waltz in
missione all’Onu per tornare “Great Again” o per
abbandonarla?
di
Stefano Vaccara - La Voce di New York
NEW YORK - Dopo
quasi sette mesi di assenza politica degli Stati Uniti al Palazzo di Vetro,
l’audizione al Senato per la conferma di Mike Waltz come ambasciatore all’ONU
ha riportato al centro del dibattito una domanda cruciale: gli USA devono
ancora investire nelle Nazioni Unite oppure voltare pagina?
Ex berretto
verde, ex deputato della Florida ed ex consigliere per la sicurezza nazionale
di Donald Trump, Waltz non ha mai nascosto il suo scetticismo verso l’ONU.
Eppure, durante la sua audizione, è emersa una visione più pragmatica che
ideologica: il Palazzo di Vetro, ha detto, “dovrebbe essere l’unico luogo al
mondo dove tutti possano parlarsi — ma dopo 80 anni si è allontanato dalla sua
missione originaria di pacificazione”.
Waltz ha
denunciato “sprechi, frodi e abusi endemici” nel sistema delle Nazioni Unite,
criticando la moltiplicazione delle agenzie e delle missioni di peacekeeping
“senza fine né chiari obiettivi”. Tuttavia, ha riconosciuto che gli Stati
Uniti, anche con tagli e revisioni, restano “di gran lunga la nazione più
generosa del mondo” e che proprio per questo devono pretendere risultati,
trasparenza e riforme.
Al centro della
sua visione per l’ONU c’è la volontà di “tornare alla Carta delle Nazioni Unite
e ai suoi principi fondamentali”, sostenendo il piano UN80 del Segretario Generale Guterres, che propone un
taglio del 20% del personale e una razionalizzazione delle missioni.
Non sono mancati
momenti tesi durante l’audizione, in particolare quando si è toccato il tema
dell’antisemitismo. Rispondendo a una domanda diretta su cosa intendesse fare
per contrastare il “pregiudizio anti-israeliano” alle
Nazioni Unite, Waltz ha risposto: “È pervasivo. Potrei passare il resto di
questa audizione a elencare attività antisemite. Uno degli esempi più gravi è
l’articolo 7 del Consiglio per i diritti umani, che prevede un mandato
permanente per esaminare presunte violazioni dei diritti umani da parte di
Israele in ogni singola sessione. È in vigore da decenni”.
Waltz ha anche
citato numeri concreti: “Dal 2015 al 2023, l’Assemblea Generale ha approvato
154 risoluzioni contro Israele, contro 71 rivolte a tutti gli altri Paesi del
mondo messi insieme”. Poi ha affondato: “Sostengo la richiesta del Segretario
[di Stato] per l’applicazione di sanzioni contro la relatrice speciale Francesca Albanese. Credo sia
l’emblema dell’antisemitismo all’interno dell’ONU”.
Ma Waltz non si
è fermato alla denuncia. Ha affermato che per affrontare seriamente il problema
sarà necessario “lavorare con Israele e con i nostri alleati per capire perché
questo accade e cosa fare per fermarlo”.
A proposito
della crisi a Gaza, ha ribadito una posizione netta: “Capisco la gravità della
situazione umanitaria, ma dirò più volte che se Hamas deponesse le armi, se
smettesse di sacrificare il proprio popolo, i combattimenti finirebbero oggi
stesso”. Una linea che ha trovato l’appoggio del senatore repubblicano
Ricketts, che ha replicato: “Non ho visto nulla uscire dall’ONU che chieda ad
Hamas di arrendersi, eppure è così che questo conflitto può finire e il popolo
di Gaza iniziare a sperare in una vita migliore”.
Waltz ha poi
parlato a lungo del ruolo della Cina all’interno delle Nazioni Unite, definendo
“assurdo” che la seconda economia mondiale venga ancora trattata come un Paese
in via di sviluppo in molte agenzie, ottenendo così status preferenziali. “È
fondamentale contrastare l’influenza cinese”, ha detto, promettendo di
collaborare con il Segretario di Stato Marco Rubio e con i leader repubblicani
per impedire che la Cina continui a piazzare i propri funzionari in posizioni
chiave, dalle telecomunicazioni all’aviazione civile.
Riguardo al
bilancio ONU, Waltz ha sottolineato che “le entrate dell’ONU sono quadruplicate
negli ultimi vent’anni, ma non abbiamo assistito a un quadruplicarsi della pace
nel mondo”. Secondo lui, le missioni devono avere un mandato limitato nel
tempo, obiettivi chiari e una gestione più efficiente. “Ogni dollaro della
cooperazione internazionale — ha detto — deve essere direttamente collegato a
un interesse nazionale americano”.
In questo
scenario, la sua nomina rappresenta una svolta. Dal gennaio 2025, la missione
americana presso le Nazioni Unite è retta da una incaricata d’affari ad
interim, senza accesso diretto al presidente e con margini operativi
ridottissimi. Per un’istituzione come l’ONU, fondata soprattutto grazie alla
volontà e spinta degli Stati Uniti, questa assenza è apparsa come un abbandono
politico. Con Waltz gli Stati Uniti potrebbero tornare a sedersi al tavolo con
una voce forte e riconoscibile.
Seppur critico e
ideologicamente distante dal multilateralismo tradizionale, Waltz conosce il
linguaggio della diplomazia e quello della politica interna americana. È forse,
paradossalmente, l’unico in grado di convincere Trump che l’ONU — pur da
riformare — resta ancora uno strumento utile per l’America e per il mondo.
Questo, naturalmente, a patto che la sua nomina, dopo la defenestrazione dall’incarico di consigliere per la sicurezza
nazionale per le note vicende del “Signal Gate”,
non sia soltanto un contentino di consolazione, ma un messaggio — forse
inatteso — di rilancio. Non solo per lui, ma soprattutto per la politica estera
multilaterale degli Stati Uniti.
In tempi in cui
il dialogo internazionale è fragile e le guerre si moltiplicano, avere un
ambasciatore con un mandato politico chiaro è meglio che restare nel silenzio.
Anche da una posizione critica, può arrivare un nuovo inizio
***
(Stefano
Vaccara www.lavocedinewyork.com
Giornalista e scrittore. Nato e cresciuto in Sicilia, laurea a Siena, master a
Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America con Il Giornale di
Montanelli, America Oggi e USItalia Weekly. Dal
Palazzo di Vetro oggi racconta l’ONU dopo aver fondato e diretto La Voce di New
York dal 2013 a gennaio 2023)