Matteo senza terra. La Lega di Salvini ha dimenticato i territori e perso la sua anima 

di Stefano Carli - Linkiesta

 

ROMA - C’è grande caos nel cielo della Lega. Matteo Salvini si deve barcamenare tra tre fronti: due interni e uno esterno, con gli alleati di governo. All’interno il fronte più immediato è la concorrenza di Roberto Vannacci, che non fa mistero di gradire l’idea di una scalata al partito fondato da Umberto Bossi. Il secondo è che l’opposizione interna al partito inizia forse a darsi una struttura per fare un po’ di conti sui suoi numeri: la scorsa settimana è nata “Il Bobo”: è ufficialmente una associazione culturale nata per ricordare Roberto “Bobo” Maroni, uno dei leader storici della Lega delle origini, scomparso tre anni fa. Il terzo fronte, quello “esterno” sono invece le novità che stanno emergendo dalla prima bozza della Legge di Bilancio 2026 che, a prima vista, sono di nuovo delle picconate alla credibilità politica di Salvini. A partire dagli oltre cinquecento milioni di tagli che sono stati ipotizzati al suo Mit, il ministero delle Infrastrutture, nella dotazione già stabilita per alcune grandi strutture di trasporto: le metropolitane di Roma, Milano e Napoli più altri “definanziamenti” per altre opere, (alcune autostrade come Tirrenica e Cispadana, due grandi Statali come la Salaria e la Ionica e perfino una ciclovia): tutti tagli che vanno a colpire grandi opere e soprattutto le amministrazioni locali che le gestiscono.

 

Ma c’è di più: la bozza dedica un intero articolo, il 132, a ridefinire le modalità di assegnazione dei Fondi di Coesione dell’Unione europea. E qui il colpo va direttamente ai territori, ossia alle amministrazioni locali, in particolare alle Regioni.

 

 

I Fondi di Coesione, che valgono pressappoco un terzo del bilancio europeo (il budget totale Ue per il 2025 è intorno ai duecento miliardi di euro) sono oggi appannaggio delle Regioni. Il loro utilizzo è di fatto l’unico caso in cui la responsabilità della spesa è affidata direttamente alle istituzioni territoriali. Due i passaggi critici dell’articolo 132. Il primo è quello in cui si fa riferimento alla nuova governance Ue; il secondo è quello in cui si introduce un ruolo decisivo nelle assegnazioni dei fondi da parte del Cipess, il Comitato Interministeriale per la programmazione economica e lo Sviluppo Sostenibile.

 

Il quadro è ancora in movimento, tra distinguo e cautele. Per dire, a proposito dell’associazione “il Bobo”, il presidente dell’associazione Stefano Bruno Galli, ex assessore regionale alla Cultura della Lombardia, ha subito assicurato che non non è né una corrente né un movimento interno alla Lega: «Siamo un’associazione culturale di amici – ha detto ancora parlando con l’Ansa – che hanno avuto un rapporto intenso con lui e che organizzerà iniziative per ricordare Maroni». Ma tra i primi a entrare nell’associazione ci sono stati il ministro dell’Economica Giancarlo Giorgetti e il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana. Proprio quel Fontana che il giorno dopo la batosta elettorale in Toscana ha detto che «la Lega deve continuare ad essere il partito dei territori, il partito della gente, di quello che ha sempre rappresentato. Forse bisogna rivedere qualcosa in questo ambito».

 

 

Questa faccenda del “partito dei territori” è diventato un passa parola subito dopo il voto toscano. «L’errore è che la Lega è forte e vincente quando parla di autonomia, federalismo, territorio e valorizza gli amministratori sul territorio», ha detto Riccardo Molinari, capogruppo leghista alla Camera. «Se si perde l’identità, il territorio e la militanza non ci si può meravigliare del calo di fiducia», gli ha fatto eco il suo omologo al Senato Massimiliano Romeo nelle dichiarazioni del dopo voto. Se infine aggiungiamo anche il progetto delle due Leghe, una al Nord e una al Centro-Sud immaginato dal potentissimo (e seguitissimo) Luca Zaia sul modello del binomio Cdu-Csu in Germania, il quadro è completo: la Lega di Salvini ha dimenticato i territori. Quello che non è chiarissimo ancora è: in cambio di che cosa?

 

Qual è il suo disegno nel momento in cui appoggia (o non si oppone) alle istanze centralizzatrici della maggioranza guidata da Fratelli d’Italia che non ha mai fatto mistero di tenere più a Roma che al decentramento politico e amministrativo? (basta ripensare alle continue polemiche in tema di sanità tra il ministro Orazio Schillaci e le Regioni).

 

 

Sui “definanziamenti” al Mit c’è pure chi a mezza bocca ipotizza che Salvini punti a tagliar risorse regionali per irrobustire interventi che possa ascrivere a se stesso: parliamo di Ponte sullo Stretto, per intenderci. Oppure di altre opere da realizzare al Sud, dove potrebbe cercare di recuperare i consensi che va perdendo soprattutto al nord. Ma intanto svuota le risorse, ossia i poteri reali, degli enti locali, Regioni e grandi comuni soprattutto. Che è lo stesso risultato che otterrà con le nuove norme sui Fondi di Coesione. Che, guarda caso, vanno a toccare soprattutto le Regioni “locomotive” economiche del Paese: il Piemonte del forzista Alberto Cirio, il Veneto del doge Luca Zaia (ancora per poco), l’Emilia Romagna del democratico Michele De Pasquale. Ma soprattutto la Lombardia di Attilio Fontana.

 

Proprio quella Lombardia che guida assieme alla Baviera la protesta delle Regioni di quattordici dei ventisette Paesi membri dell’Unione europea.

 

Una protesta che lo scorso 15 ottobre si è anche concretizzata in un manifestazione a Bruxelles di fronte al Parlamento europeo, organizzata dalla “Cohesion Alliance”, il movimento che riunisce le regioni contrarie alla proposta della Commissione Europea di ridurre e accentrare le risorse destinate ai territori. L’alleanza è un soggetto trasversale a partiti politici e maggioranze. C’erano infatti anche molti esponenti della sinistra. Ma di tutti i partiti della maggioranza italiana c’era solo Guido Guidesi, assessore allo Sviluppo Economico della giunta Fontana al Pirellone, che era, tra l’altro tra i promotori della manifestazione. «Se andasse in porto il progetto di Ursula von der Leyen, per la Lombardia verrebbero a mancare 4,4 miliardi di euro che la Regione investe in modo virtuoso in molteplici settori, a cominciare dalle politiche di sostegno alle imprese per arrivare alla formazione e alla ricerca. Tagliare i fondi di coesione significa mettere a repentaglio lo sviluppo dei territori – ha detto Guidesi –. Oltre al tema della diminuzione delle risorse la Lombardia risulterebbe poi danneggiata anche dalla gestione fondi che passerebbe allo Stato centrale. Vorrebbe dire dover attendere i tempi di Roma, non propriamente celeri. Non ce lo possiamo permettere. Il nostro sistema economico-sociale ha bisogno di tempi di reazione “lombardi”». Ora si tratta di vedere se i tempi di reazione lombardi si faranno sentire anche per riportare la Lega in carreggiata.

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(Stefano Carli www.linkiesta.it è stato per anni autorevole redattore di "Affari e Finanza" settimanale economico di "Repubblica")