Il
Politecnico di Milano rimanda il sogno del nucleare: non ci sarà prima del 2050
di Luca
Pagni - Vaielettrico
MILANO -. In
Italia, anche nello scenario più ottimistico, una prima centrale nucleare
entrerebbe in funzione solo nel 2035-2037. Ma non avrebbe alcuna influenza nel
mix energetico prima del 2040. Le stime più realiste rimandano qualsiasi
impatto significativo al 2050. Lo si legge in uno studio appena presentato dal
Politecnico di Milano
E’ il primo rapporto prodotto dal
dipartimento “Energy & Strategy – School of Management” del Politecnico
milanese. Intitolato Nuclear
Energy Innovation Outlook 2025 e presentato oggi, 26 novembre, a
Milano. E’ il primo documento che presenta una
narrazione diversa da chi finora aveva presentato il progetto per il ritorno
del nucleare in Italia come un percorso di pochi anni, con reattori attivi
entro il 2035. Forse attivi, come si deduce dal report del Politecnico, ma
senza alcun peso all’interno del mix energetico nazionale. Solo nel
decennio tra il 2042 e il 2050, i primi reattori produrranno energia elettrica
in modo significativo.
Ma se così
fosse nei prossimi 25 anni la situazione energetica dell’Italia sarà
completamente diversa. In particolare, il nostro Paese potrebbe già aver
raddoppiato la produzione elettrica spinta da rinnovabili e batterie. Un
quadro che mette in luce come il ritorno al nucleare, rilanciato dal governo,
si presenti come un percorso lungo, complesso e pieno di incognite, ben lontano
dall’essere una soluzione rapida alla crisi energetica.
L’incognita
Smr: i progetti operativi sono pochissimi concentrati
quasi esclusivamente in Russia e Cina
l nuovo
interesse per l’atomo è tornato con il governo Meloni, che – nelle intenzioni –
punta a ridurre i costi per le imprese e sostenere la competitività
industriale. Il Ddl nucleare approvato in ottobre definisce l’energia da
fissione come “sostenibile”, prevedendo nei prossimi dodici mesi
l’emanazione di decreti legislativi dedicati.
Ma, come
evidenzia il rapporto Nuclear Energy
Innovation Outlook 2025 del Politecnico di Milano, la realtà delle
tempistiche smentisce ogni prospettiva di impatto a breve termine: prima del
2040 il nucleare non riuscirebbe a coprire più che una quota marginale dei
consumi elettrici, sostituendo appena una parte delle importazioni e dei
combustibili fossili.
Per essere il
più aderenti possibili allo studio “nell’ipotesi di un primo impianto in
funzione nel 2035, solo dal 2040 il contributo del nucleare inizierebbe ad
avere qualche rilevanza nel mix energetico nazionale, con una produzione
stimata di 13 TWh; con gli 8 GW di capacità nucleare installata (64 TWh)
fissati come obiettivo al 2050 dal PNIEC, invece, il peso sarebbe già
significativo”.
Il dibattito
politico guarda soprattutto ai reattori modulari di piccola taglia (SMR),
presentati come tecnologia flessibile, sicura e più rapida da installare. In
Europa la Commissione ha avviato una consultazione per definirne la strategia
comune, ma i tempi previsti – pubblicazione nel 2026, implementazione
successiva – confermano che la finestra temporale resta molto lunga.
Il rapporto
dettaglia con precisione le tappe che potrebbero portare a un ritorno del
nucleare in Italia. nei prossimi cinque anni proseguirà il dibattito sulle
tecnologie da utilizzare nonché la sperimentazione e l’approvazione del quadro
normativo. Tra il 2030 e il 2040, ci sarà l’avvio dei primi cantieri, con
l’espansione della filiera italiana – già presente nel nostro Paese – e la
partecipazione delle industrie energivore ai progetti. Al 2050, si potrà avere
una nuova capacità nucleare già significativa che potrebbe portare – sempre
secondo il Politecnico – a candidare l’Italia a un ruolo di
hub per l’innovazione, il decommissioning e la
gestione dei rifiuti.
Nucleare,
in Italia presente una filiera competente
Un punto
chiave sarà la continua evoluzione delle competenze tecnologiche italiane.
L’Italia conserva competenze importanti nella componentistica avanzata,
nell’ingegneria e nei servizi specialistici: il 24% dei potenziali fornitori
europei coinvolti negli studi sugli SMR è italiano, più di Francia e Finlandia.
Tuttavia, la maggior parte delle imprese opera nei segmenti meno sensibili (Tier 4 e 5), legati soprattutto a componentistica non
nucleare, parti elettriche e attività di montaggio.
Gli operatori
chiedono procedure autorizzative semplificate, un quadro regolatorio
armonizzato con gli altri Paesi europei e strumenti di garanzia finanziaria. Ma
la sfida non è solo burocratica: mancano pianificazione territoriale,
governance e certezza sugli investimenti, tre elementi senza i quali i
tempi rischiano di dilatarsi oltre le previsioni già molto lunghe.
In un Paese
dove progetti di infrastrutture ordinarie impiegano spesso anni prima di
ottenere un via libera, immaginare che un’intera strategia nucleare possa
essere definita, autorizzata e realizzata in 10-12 anni appare oggi poco
realistico.
Un percorso
che rischia di rallentare la transizione
Rapporto a
parte, rimangono le incognite che porta con sé un ritorno al nucleare. Le
centrali tradizionali mostrano costi e ritardi cronici: gli esempi di Vogtle negli USA e Flamanville in Francia,
con budget lievitati oltre il 200-300% e tempi quasi raddoppiati, confermano un trend globale difficile da ignorare. E anche le
tecnologie considerate “nuove”, come gli SMR, non sembrano oggi offrire
soluzioni realmente più rapide, più economiche o più affidabili. Al
momento, esistono reattori modulari operativi solo in Cina e in Russia, mentre
in Canada si sta sperimentando un primo prototipo industriale.
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(Luca
Pagni, milanese, è stato per anni redattore di punta del quotidiano La
Repubblica e adesso colllabora attivamente con www.vaielettrico.it)