TRIBUNA

 

GIORNALI, FINALMENTE LE IDEE PER PROVARE A REINVENTARE IL FUTURO 

di Stefano Carli

 

 

ROMA - C’è un po’ di luce dentro il tunnel dell’editoria di informazione, quella che edita giornali e magazine, cartacei e digitali, ma anche testate online podcast e newsletter. Attenzione - precisa PrimaOnline - non è la luce in fondo al tunnel, che è oggi ancora una speranza e una scommessa,ma è avere qualche punto di riferimento in più in questa lunga notte delle news e qualche certezza in più sul che fare e sul dove orientare le strategie e le risorse (che pure si vanno assottigliando).

 

Tutto questo è ciò che si porta a casa di ritorno dal convegno che si è svolto giovedì scorso 13 novembre a Città di castello, promosso dal Gruppo Corriere, che edita tra gli altri le testate Corriere dell’Umbria, Corriere di Siena e Corriere di Arezzo, che si è svolto nella sede dell’Università degli studi Link (entrambi, gruppo editoriale e università, facenti capo alla famiglia Polidori).

 

 

Il convegno già dal titolo prometteva un appuntamento che tentasse di andare oltre il solito e scontato bilancio della crisi lanciando una sfida precisa: “Editoria e informazione: carta, digitale… e poi? – Internet ha sgretolato la carta, l’IA sta travolgendo il digitale. Chi ha il coraggio di scrivere il futuro?” E ha mantenuto le promesse, permettendo di disegnare un percorso a partire da una serie di punti fermi.

 

Il primo è che l’arrivo dell’Ai sta riscrivendo la rivoluzione digitale degli ultimi 30 anni: i chat bot stanno minando il modello economico finora dominante basato sui click, sulle misurazioni quantitative delle presenze degli utenti sui siti e quindi anche sui miliardi e miliardi di dati che ogni passaggio regala ai siti stessi permettendo continue, più precise e più aggiornate profilazioni su ciò a cui ogni singolo utente, quindi ognuno di noi, è momento per momento interessato: dai bisogni ai consumi. E questo è un punto fondamentale per due ragioni. La prima perché mina lo stesso modello economico su cui si reggono Google e le big tech delle reti sociali, da Meta a TikTok. Perché mina le finora granitiche certezze della fonte unica di ricavi di questi soggetti: la pubblicità. La seconda, meno appariscente ma forse con conseguenze più profonde, è che sradica la distinzione e la contrapposizione tra media tradizionali e media digitali: oggi infatti l’online inizia a soffrire. Non come la carta ma soffre. I ricavi stanno rallentando, non di rado diminuiscono. Come in Italia dove nel primo semestre dell’anno sono scesi del 2,4%

 

E’ una tendenza? Sì, visto che ci sono altri importanti segnali concomitanti. Perdono di importanza i Seo, Search Engine Optimization, ossia quella parte dei desk che curano le edizioni online e che hanno il compito no di trovare notizie ma di rendere un articolo più facilmente catturabile dai motori di ricerca attraverso l’inserimento di parole chiave e nel testo e nei tag. E se questo sta accadendo è perché nei giornali qualcosa è cambiato. Hanno finalmente capito che le reti sociali hanno stravolto il rapporto tra il giornale e le notizie. Come ha detto Tommaso Cerno, direttore del Tempo intervenendo nel panel dei direttori, prima il giornale andava in cerca della notizia, ora la notizia arriva anche al giornale via social network e il valore aggiunto del giornalista non è più nel riportarla così come è ma solo nell’approfondimento e nella testimonianza personale. Insomma, le notizie già si sanno, il compito del giornale è selezionarle e selezionare quelle che vanno approfondite perché dicono qualcosa in più del semplice fatto accaduto. E i giornalisti devono tornare ad essere testimoni diretti. Devono tornare “per strada”. E ciò vuol dire smontare la struttura delle redazioni. Lo ha detto chiaro il direttore del Messaggero Massimo Martinelli, quando ha spiegato che fino a qualche anno fa i redattori del cartaceo e dell’online erano interscambiabili ma ora non più perché i giornalisti della carta sono tornati a cercare le notizie, vanno per strada, hanno un’agenda, cercano contatti e fonti, mentre quelli dell’online sono rimasti alle ricerche in rete e al copia e incolla. Lo ha ribadito Luca Telese direttore del Centro di Pescara, sostenendo che i redattori Seo stanno sparendo dalle redazioni. Siamo dunque alla rivoluzione nella rivoluzione. Ma deve cambiare anche il lavoro dei direttori. A loro il compito di fare di ogni giornale il referente autorevole di una comunità. Che sia territoriale, come nel caso dei giornali locali, o di orientamento, come nei giornali di opinione. Come ha detto Pietro Senaldi, condirettore di Libero, i giornali di opinione sono simili ai locale in questo, che dichiarano espressamente a quale pubblico si riferiscono., concetto poi ribadito anche da Maurizio Belpietro. A scapito dell’indipendenza? No perché è un falso mito: a vantaggio della trasparenza, perché lo dichiarano, ci mettono la faccia. Come ha sintetizzato Telese,parafrasando Sraffa, l’informazione oggi è “produzione di merci a mezzo di firme”: ossia, fare informazione garantita da chi scrive e da chi edita. Ossia tornare a fare informazione, perché questa è la vera forza del giornalismo rispetto al forward di qualsiasi cosa presa a casaccio dalla rete. Si comincia puntando e andando a trovare quello che in rete non c’è, in primo luogo perché è troppo locale, mentre alle big tech piace tutto ciò che è globale e la standardizzazione (ci sono più economie di scala e si risparmia).

 

Funziona? Pare proprio di sì. E’ per questo che un gruppo editoriale come il Gruppo Corriere vede le vendite aumentare con costanza e i bilanci in utile, come ha spiegato il direttore Sergio Casagrande. Basta guardarlo il Corriere dell’Umbria: giovedì era a 56 pagine, le prime 10 tutte sul territorio, poi tre pagine con le notizie “Italia e mondo”, quelle che si trovano minuto per minuto su ogni telefonino, seguite dalle pagine sulle singole città. Infine lo sport. Dodici pagine e solo le ultime due parlavano della partita della sera tra Italia e Moldova e di Sinner.

 

Ma questo modello non funziona senza il ritorno al concetto che l’informazione di qualità si paga. E ciò vuol dire una cosa sola: che l’informazione deve essere pagata da chi la usa e non dalla pubblicità. Si torna cioè alla proporzione aulica che vuole un equilibrio tra ricavi da vendite e da pubblicità. Possibilmente con una tendenziale prevalenza delle vendite. Gli editori lo stanno capendo. Hanno capito che devono ricostruire un rapporto diretto con i loro lettori. E’ quello che vogliono gli stessi lettori: avere possibilità di rapporti faccia a faccia con persone che vivono la loro comunità. Lo ha confermato Giuseppe Carbone, ad del Gruppo Nem Nord Est MultiMedia, spiegando il ruolo degli eventi live che i giornali del gruppo organizzano sul territorio , come dei “verticali tematici”. E ne fanno una quarantina l’anno, che significa quindi circa tre al mese. Ma è uno sforzo che ripaga. Mentre dall’altra parte, una testata generalista come il Corriere della Sera punta le sue strategie verso i lettori nella costruzione di un rapporto di lungo periodo: Anche qui con successo. Ga detto Alessandro Bompieri, direttore generale News Rcs, che il Corriere ha raggiunto quota 750 mila abbonati. Che è tanto. Soprattutto perché vuol dire che i ricavi da abbonamento hanno superato il livello di quelli da pubblicità.

 

Gli editori cambiano modello di business. I giornalisti cambiano le abitudini di lavoro degli ultimi tre decenni. Ma manca ancora un pezzo a consolidare questi cambiamenti: le istituzioni. Mentre sui social si scrive indenni di tutto, l’informazione professionale deve seguire regole severe e stringenti. Le grandi piattaforme americane hanno operato fuori da ogni giurisdizione per oltre quindici anni, raccogliendo dati e vendendo pubblicità mentre agli editori europei, imbrigliati da normative severe sulla privacy, era vietato anche solo profilare i propri lettori, ha chiosato il vicepresidente della Fieg Francesco Dini, rievocando quando, si era agli inizi degli anni Duemila, andò con altri rappresentati del gruppo Gedi, dal Garante della Privacy di allora a chiedere la possibilità di operare una prima profilatura, anonima, degli utenti del lsito di Repubblica dal punto di vista dei loro atteggiamenti verso i prodotti assicurativi per lanciare un’offerta pubblicitaria specificamente mirata alle compagnie assicurative. Con il solo risultato di “venir cacciati dalla stanza in malo modo dal Garante”. Per fortuna che oggi, secondo Dini, c’è finalmente più consapevolezza e l’Italia – con il regolamento sul copyright voluto dall’Autorità per le Comunicazioni – è considerata all’avanguardia in Europa. Ma servono anche sostegni economici stabili, come avviene per tutti gli altri settori industriali tutelati dallo Stato, dal cinema all’energia. E più d’uno ha fatto i calcoli tra il sostegno al cinema e a quanti milioni si perdono nella produzione di film che non raggiungono nemmeno le sale e l’ammontare degli aiuti all’editoria, settore strategico non solo per l’economia ma per la stessa democrazia.

 

 

Ultimo aspetto, la riforma della distribuzione, che riguarda solo le copie cartacee, che sono sì in declino ma rappresentano comunque ancora una parte cospicua dei ricavi. E che nell’ottica di tornare a privilegiare le vendite sulla pubblicità, vanno salvaguardate di più. Le edicole sono in crisi, un terzo sono sparite in pochi anni. Il loro peso l’hanno avuto anche le regole di distribuzione degli aiuti che hanno finora privilegiato le copie stampate e l’attività degli stampatori rispetto alle vendute effettive. Questo ha creato non poche distorsioni: molto spreco di carta e di fatica degli edicolanti nel gestire quantità e rese sovrabbondanti. Sarebbe ora di cambiare. E proposte ce ne sono: dall’incentivare le vendite nei supermercati defiscalizzando la quota di ricavi prodotti e aumentando l’aggio degli edicolanti, che dovrebbero però diventare il vero ultimo miglio della distribuzione dei giornali, piccoli hub locali per rifornire supermercati ma anche le scuole, dove far arrivare ogni giorno copie di quotidiani e ricostruire, con pazienza, l’abitudine dei giovani a leggere

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(Stefano Carli - PrimaOnline)