TRIBUNA

 

CDR LA STAMPA, 'LA NOSTRA STORIA NON SI SVENDE'

 

TORINO - "Sabato scorso John Elkann ha respinto l'offerta di acquisto della Juventus con un video messaggio e la precisazione che "la squadra, la nostra storia e i nostri valori non sono in vendita".

 

Vale per il calcio, ma non per il nostro giornale e i suoi oltre 150 anni di storia. Storia che si può serenamente svendere, senza nemmeno curarsi di capire a chi". Lo afferma il Cdr del quotidiano La Stampa, in un comunicato.

 

"Anche se negata per mesi - prosegue il Cdr -, la scelta della proprietà è dismettere l'intero gruppo Gedi, compresa Repubblica, le radio e le altre testate. La Stampa fa - anche se a questo punto è ormai tempo di scrivere, faceva - parte della stessa famiglia e dello stesso grande gruppo industriale che si sta via via disgregando, distruggendo valore e valori, dal 1926.

 

Abbiamo profonde radici a Torino, nel Piemonte e nel Nord Ovest, guardiamo e parliamo all'Europa e al mondo. Difendiamo la nostra Costituzione e i valori ereditati da Norberto Bobbio e Galante Garrone e sempre tramandati. Siamo europeisti, democratici e sostenitori convinti e innamorati del pluralismo e della libertà di informazione. Valori fondanti non solo di un quotidiano come il nostro, ma di una Repubblica che può dirsi davvero democratica".

 

"Lo scorso 30 novembre, dopo l'assalto alla nostra redazione - conclude il Cdr -, anche John Elkann ha portato la sua solidarietà. Si è rivolto ai colleghi e alle colleghe parlando alla prima persona plurale, con l'inteso che proprietà, direzione e redazione fossero un tutt'uno. Menzogne.

 

Nemmeno quindici giorni dopo è arrivata la dichiarazione ufficiale di Exor e la conferma della volontà di uscire dal settore dell'editoria. Gedi ceduta a un investitore greco, La Stampa chissà. Alla delusione si aggiungono amarezza, sconcerto e preoccupazione per i destini di lavoratori e lavoratrici.

 

Non solo giornaliste e giornalisti, ma personale poligrafico e tecnico, amministrativo e collaboratori tutti. Posti di lavoro e vite di cui temiamo il governo non abbia troppa intenzione di farsi carico, almeno a giudicare dal palco di Atreju di ieri. La vendita del gruppo Gedi è stata menzionata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni giusto il tempo di polemizzare con i suoi avversari politici, senza dare rassicurazioni sulle sorti di 1.300 lavoratori e lavoratrici"

***

 

 

IL COMITATO DI REDAZIONE DI REPUBBLICA

 

ROMA - Invece di occuparsi di una crisi industriale che riguarda 1.300 lavoratrici e lavoratori e al contempo di fare la propria parte per salvaguardare il pluralismo dell'informazione, ieri dal palco della sua kermesse la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha preferito sfoderare l'arma della più bassa propaganda politica per parlare di Gedi: attaccando un partito di opposizione, un sindacato e un articolo di Michele Serra su questo giornale che rappresenterebbe «una sinistra isolata e rabbiosa».

 

Anche stavolta le sue parole denotano scarsa attitudine istituzionale, visto che Meloni in teoria rappresenta tutti i cittadini di questo Paese e non solo i suoi elettori. In più sono completamente false rispetto a fantasiosi accordi tra l'attuale editore di Gedi su Stellantis e le interviste fatte dalle colleghe e dai colleghi nel corso degli anni a Maurizio Landini, segretario generale della Cgil.

 

Ci risulta piuttosto che Meloni coltivi ottimi rapporti sia con John Elkann che con il possibile acquirente di Gedi: se proprio ritiene di potersi rendere utile visto il ruolo che ricopre, e di cui spesso si dimentica, le suggeriamo di utilizzare la sua influenza per gestire questo delicato passaggio tutelando non gli interessi — per la gran parte esteri — di grandi e ricchi imprenditori, ma delle persone che qui vivono del proprio lavoro.

 

Lo sfregio di Meloni, casualmente, fa il paio con il video nel quale lo stesso Elkann annuncia il rifiuto a prendere in considerazione l'offerta ricevuta per l'acquisto della Juventus.

«La Juve, la sua storia, i suoi valori, non sono in vendita», sono le sue parole.

 

Concetti che non valgono per Repubblica, la Stampa e le altre testate del gruppo di cui ha gran fretta di disfarsi. Confidiamo che la sua uscita di scena dal mondo dell'editoria sia almeno dignitosa, nel rispetto delle garanzie occupazionali e di indipendenza che non solo le lavoratrici e i lavoratori ma anche il sottosegretario all'editoria Alberto Barachini gli hanno chiesto di mettere nero su bianco nelle clausole del contratto di compravendita in via di definizione.

***